Sandro Frera blog dal 2006

pittura, letteratura, cinema e altro

Il senso del viaggio: parte quindicesima

  • Il ritorno al Parallelo

Un mese prima di morire Henry D. Thoreau, nel 1862, scrive Walking, un breve saggio di una cinquantina di pagine. Walking è il tema dell’ andare, del movimento. Walking è essenzialmente “sauntering”:

“going à la Saint-Terre, to the Holy Land”. “They who never go to the Holy Land in their walks […] are indeed mere idlers and vagabonds […]. Some would derive the world from ‘sains terre’, without land or home, therefore, in the good sense, will mean, having no particular home, but equally at home everywhere For this the secret of successful sauntering. […]. He who no sits still in a house all the time may be the gratest vagrant than the meandering river which is all the while sedulously seeking the shortiest  course to the sea. But I prefer the first, which indeed, in the most probable derivation. For every walk is a sort of crusade preached by some Peter the Heremit in us, to go forth and reconquer this Holy Land from the Lands of Infields” [1]

Ecco che di colpo Thoreau, fuori dall’ ambito frequentato e di traffico caotico delle strade europee, si cala nella contraddizione spazio-temporale del viaggio. L’ analogia del corso d’ acqua che scorre in continuazione ed allo stesso tempo è immobile, suggerisce bene quella contraddizione, e fa sì che Thoreau sposti i parametri quantitativi del viaggio – lungo o corto, di un pomeriggio o di qualche anno – verso altri elementi qualitativi, quali la direzione o la ‘naturalità. Se da un lato Thoreau nega valore al viaggio come puro spostamento geografico, in realtà pone allo stesso tempo le problematiche che apriranno la strada ad un nuovo viaggio storico nel Novecento, ritorno ad un viaggio mistico sull’ asse est-ovest. Il suo disprezzo infatti è per un certo tipo di viaggio, non per il viaggio tout court. Disprezzo è per il viaggio anonimo, massificato: “roads are made for horses and men of business. I do not  travel in them” [2]

Il viaggio di ricerca invece è necessario e indispensabile. E questo viaggio deve essere il viaggio nuovo, alla ricerca dell’ incontaminato, della purezza perduta, del naturale. Allora

“I walk out into the nature such the old prophets and poets, Meru, Moses, Homer, Chaucer walked in”. “ When we walk we naturally go to the fields and woods”[3]

Ecco che assume importanza la direzione. E’ il nuovo rovesciamento, non importa piu’  Londra o l’ Italia. Se dal fenomeno dell’ inurbamento – segno del cambiamento economico di una civiltà – fino a Rastignac in carrozza alla conquista di Parigi, il movimento era stato dalla campagna alla città ( la ricerca del lavoro, la fuga dalla fatica, dalla solitudine e dal buio ) ora, dagli illuministi, e precisamente riguardo ai temi di Thoreau, attraverso Doughty, Barris, Loti, T.Lawrence, Forster, fino a Kerouac, Ginsberg, Altmann,  Watt – il nuovo viaggio diventa la fuga dalla civiltà, la ricerca disperata del perduto.

Il viaggio torna a ripercorrere il movimento solare, ma al contrario. Sulla stessa rotta ma “di notte”, non piu’ dietro al sole ma dietro la stella Polare – diventa un viaggio nascosto, che scantona via, isolato, buio, che fugge dagli agi della tecnologia e si rifugia in un viaggio sotterraneo con la torcia in mano. Nelle caverne, nelle capanne o izbe dei contadini piu’ isolati dal mondo. Non è piu’ la meta che conta ma il viaggio di per sé. Il viaggio assume una sua identità specifica, ‘in quanto tale’

“I belive that there is a subtile magnetism in nature, which, if we consciusly yeld to it, will direct us aright. There is a right way; but we are very liable from heeldness and stupidity to take the wrong one. We would take walk, never yet taken throught this actual word, which is perfectly symbolical of the path which we love to travel in the interior and ideal world; and some times, no doubt, we find it difficult to choose our direction, because it does not yet exist distinctly in our idea”.[4]

E’ da qui che nasce una costante della letteratura anglosassone – nettamente differenziata, in questo senso, dal ‘wandern’ tedesco. Da Stevenson a Thoreau il vagabondare non è piu’ considerato solo dal punto di vista poetico, formativo-artistico, mistico, non è piu’ nulla di esistenziale come nella cultura europea; sono cancellate con un colpo di spugna le selve, i violini, gli incontri fatali, le belle mugnaie, contadinotte bianche e bionde, esaltazioni e disperazioni. Nasce il calmo edonismo anglosassone. Si studia il paesaggio, anzi, il passo, il modo di viaggiare, la direzione del cammino, l’ andamento. Il camminare per il camminare.

“In campagna desidero camminare come vegeta la campagna”.

(William Hazlitt)

“Il paesaggio durante un viaggio è soltanto accessorio”

(R.L. Stevenson)

Che interessa agli inglesi “parlare” mentre si cammina? Questione da chiacchieroni francesi o da sognatori tedeschi. Che cosa servono le compagnie, di qualsiasi genere? Donne che camminano troppo lente? Amici che costituiscono un nesso con il mondo quotidiano che si è voluto lasciare in città? No, ciò che conta è solo camminare, walking. (Tutt’ al piu’ un bastone come aiuto e un cane da passeggio come amico.)

Per Thoreau la direzione è Ovest. Sono gli anni nei quali gli americani conquistano la terra metro per metro verso l’ altro Oceano, terra incontaminata, background nel senso fisico e letterale del termine.

“When I go out… I finally and inevitably settle southwest toward some particular wood or meadow or deserted pasture or hill in that direction. My needle is slow to settle, varies a few degrees, … always settle between west or south-west. The future lies that way to me, and the earth seems more unexhausted and richer on that side. The outline which would bound me walks would be, not a circle, but a parabola; or rather like one of those cometary orbits which have been thought to be non-returning curves, in this case opening westward, in which my house occupies the places of sun. […] Eastward I go only by force; but westward  I go free. […] I belive that the forest which I see in the western horizon streches uninterrupted toward the setting sun. […] I must walk toward Oregon, and not toward Europe. And that way the nation is moving and I may say that making progress from east to west. […] The eastern Tartars think that there is nothing west beyond Thibet? The world ends there’ say they; ‘beyond there is nothing but a  shortless sea. It is unmitigated East where thay live” [5]

Facile intuire che per un Americano Est e Ovest sono visti da un altro punto di vista rispetto a noi europei; ma alcuni elementi fondamentali, ancestrali, rimangono invariati,

“ we go eastward to realize history and study the works of arts and literature, retracing the steps of the race; we go westward as into the future, with a spirit of enterprise and adventure[6]

Per un Americano Est e Ovest sono due mari, due oceani. L’ Atlantico è un viaggio di ritorno, sogno di autunno; il Pacifico soglia di un viaggio di andata, porta verso un futuro piu’ vicino alla natura, segno di una primavera di riscoperta. Da questa parte l’ Europa, vecchia di tradizioni, dall’ altra parte il mare sconfinato, la libertà. Thoreau non ha dubbi su ciò.

“ Every sunset which I witness inspires me with the destre to go to a West as distant as fair as that into which the sun goes down”[7]

La rincorsa dietro alla natura la troveremo nelle scorribande dei paesaggi di Hemingway dai fiumi all’ oceano, dalle colline al Kilimangiaro, da Conrad a Kipling, da London a Faulkner, da Melville a Mark Twain ( questi ultimi due entrambi irriverenti “pellegrini” ad oriente) fino a Barry Lopez e al rapporto con la natura dei suoi personaggi negli ultimi decenni. Nelle ultime pagine del suo ‘Walking’, quando Thoreau parla dei movimenti dell’ uomo ormai dettati solo da ragioni economiche di imperialismo, traccia un itinerario nel quale il destino della Natura si assoggetta a quello dell’ uomo. Il “canto solitario di un pastore errante” diventa la triste condizione che col passare dei secoli subisce la natura, inghiottita dall’ uomo.


[1] H.D.Thoreau: Walking(1862) New York Viking Press 1947, p.593

[2] ivi, p.600

[3] ibidem

[4] ivi p. 602-3

[5] ivi, p. 604

[6] ibidem

[7] ivi, p.605

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