Sempre il Corriere.it di oggi riporta la traduzione italiana di un articolo del Professor Vilenkin, fisico dell’università Tufts di Boston (università privata il cui sito merita d’essere visitato per misurare la distanza tra il nostro sistema universitario e il loro) dal titolo: “C’è un altro universo dove Elvis canta”.
La tesi, o, meglio, il racconto, perché di racconto si tratta, è che l’universo sia infinito e infinitamente ed eternamente in espansione, secondo un processo che Vilenkin definisce di “inflazione”.
Infinite minuscole bolle “cominciano ad espandersi e rapidamente raggiungono la velocità della luce. Accade di rado che si scontrino l’una con l’altra, poiché anche lo spazio fra le bolle si espande a velocità ancora maggiore.”
E ancora: “ma se l’inflazione è eterna, tutto quello che può accadere accadrà da qualche parte, addirittura un numero infinito di volte.” Noi, Elvis, Obama, tutti che si ripetono e si ripetono, almeno in teoria.
Per questo propone che si abolisca la parola Universo e si usi al suo posto la parola Multiverso.
Affascinante, anche se assolutamente di difficile comprensione.
Interessante mi pare l’analogia con la storia dei 14 mila milioni di pixel usati fa Google per farci ammirare i capolavori del Prado.
Da un punto di vista della percezione umana anche in quel caso infinite microscopiche bolle compongono quel che noi chiamiamo universo pittorico, il quale però, a differenza di quello fisico, nel quale ciascuna bolla ha (o può avere) regole fisiche proprie, la maggior parte delle quali assolutamente inutili causa quel che nel calcio si chiama “impraticabilità del campo”, ha regole univoche per tutte le bolle/universi che lo compongono: quelle determinate e decise (con coscienza e consapevolezza) dall’autore.
Ma se ciascuna bolla, grande o piccola che sia, ha le stesse regole dell’intero quadro, allora significa che, digitalizzandolo, avremo infinite Guernica o Las Meninas?