Jean Clair, ex curatore del Centro Pompidou, anni fa ha rilasciato una intervista che Skira del mio amico Stefano ha tradotto e pubblicato in Italia. Il librino (33 pagine in tutto) e’ un miracolo di chiarezza e intelligenza. Clair fissa dal 1905 al 1968 il secolo breve dell’arte. Il 1905 viene scelto per il contemporaneo esplodere in Europa di diversi movimenti, a partire dai fauve, mentre il 68 per il sorgere di installazioni e performance, ma anche per il rifiuto del personalismo e dell’aura artistica.
A partire dal 68, scrive Clair, cambia il parametro artistico. L’oggetto artistico non è più quello che era ovvero “un oggetto più o meno ben costruito, plasmato, dipinto, che obbedisce nella sua fattura a un complesso di regole volte ad assicurargli una certa perennita’ nel tempo e a testimoniare un progetto spirituale”.
È l’eclisse dell’opera d’arte come scrisse Robert Klein.
Ora se questo è ed era vero, bisogna chiedersi se abbia ancora senso oggi: il panorama artistico non è in effetti cambiato, ma la trans avanguardia con la sua necessità della (nuova) pittura ha aperto ad una rinnovata sensibilità.
Quindi torniamo ad un oggetto ben costruito? Forse si.
Aspettavo un po’ di tempo calmo (!) per scriverti. Jean Clair è stato molto chiaro sempre in ogni sua intervista ed in ogni suo testo (leggo a sprazzi un suo librone molto bello Parigi New York e ritorno) sul termine dell’arte che avesse un oggetto fisico di riferimento a cui far capo. Io sono lungamente d’accordo con lui e credo che proprio dopo il ’68 si sia abustao del concetto esteso di arte… tant’è che siamo arrivati agli scempi della biennale e di tutto quello che viene osannato come arte. Evvero che mi piace molto la filosofia di Beuys… ma poi tutto è stato manipolato dal mercato che ne ha stravolto concettualmente ogni contesto rendendo vendibile tutto (con la compiacenza di certa critica che ne agghinda ad hoc ogni elemento). Tutto è capolavoro e tutto si vende!
Noi altri … perfortuna accompagnati da jean CLair (che guardacaso viene additato come vecchio da chi -vedi sopra- conia termini e genî) siamo rannicchiati nel concetto di arte “solida”… che si vede e se ne può godere! tutto il resto è opinabile e amabile o meno, ma perfavore non forzateci con i testi filosofici e con i termini incomprensibili per convincerci di cose che non stanno nè in cielo nè in terra!! … caro Sandro… probabilmente mi sot facendo vecchio come Jean CLair 😉
non so quanti anni hai tu, ma che io mi stia facendo vecchio è l’anagrafe a dirlo. però, però, al di là della curiosità e, in alcuni casi, della fascinazione intellettuale verso alcune realizzazioni che sono riuscite a far coincidere un oggetto o una serie di oggetti con una idea (penso ad esempio ad alcune installazioni di Kounellis) da sempre sono convinto che l’opera sia quella che Jean Clair ha definito (oggetto, regole). D’altronde il mercato mi pare schizofrenico con committenti pubblici e grandi collezionisti che vanno in direzioni spesso astruse e, a tratti, insopportabili, e committenza privata di minor denaro (ma non per questo definibile povera, anzi) che in preda allo sconforto vira verso la fotografia o l’iperrealismo (qualcosa facilmente riconoscibile e semmai, dopo, interpretabile). La terza via anche in pittura, come in politica, è di difficilissima percorrenza. ciao
Io ho quarant’anni… ma mi sento mvecchio se è vero che mi risulta difficile accettare queste regole di mercato e soprattutto i neo-concetti artistici.
Ti lascio qui un aneddoto che apre la strada ad altri e più lunghe riflessioni … tempo fa ho assistito ad un interessante dibattito sulla tutela delle performance e in generale delle opere contemporanee (sepsso immateriali o deperibili)… e allora ne è venuto fuori che il valore (in termini economici) e la proprietà (con annessi e connessi) viene unicamente testimoniata da un contratto redatto da un notaio, all’interno del quale viene espresso il valore stesso dell’opera. SI parlò ad esempio di un’opera di Beyus… il cui valore per restare invairato doveva rispettare una serie di indicazioni (una sorta di ricetta) scritte dallo stesso autore… e qui penso all’ “energia di Capri” che ho potuto vedere a casa di una conoscente… la quale periodicamente deve sostituire il Limone per evitare che si tramuti e dissolvi quel concetto di opera…
io ne ho venti in più di te (quasi) e di stranezze ahimé ne ho viste. nella mia professione si dice che il valore di un bene immateriale (o parzialmente immateriale) deriva dalla sua “utilità” residua futura che nel caso specifico andrebbe “misurata” evidentemente col gradimento che quell’opera ha ancora presso il restante pubblico. insomma se piace ancora, ha valore, se no ti attacchi. ma questo non vale per tutta l’arte? il tema del valore commerciale dell’arte è inevitabilmente legato al mercato e alle sue manipolazioni.