Il titolo dell’ultimo film della Coppola andrebbe declinato in forma interrogativa: esisterà da qualche parte una sceneggiatura decente che spinga la brava Sofia a dirigere un nuovo film e non la copia di Lost in Translation?
E’ vero, ammetto: mentre là la storia era quella di un vecchio attore ormai in disarmo alle prese con l’istintivo desiderio di sopravvivenza rappresentato dalla giovane (per lui giovanissima) e annoiata e dolorante moglie di un fotografo, qui parliamo di un attore nel pieno delle sue funzioni vitali (per quanto ammaccate anche in questo caso dalla noia) che non sa cosa farsene della sua vita.
Due storie diverse, quindi, si dirà. Certo, ma sempre storie di persone senza nulla da dire (e che infatti non dicono nulla) che osservano ciò che accade loro intorno e cercano di comportarsi al meglio secondo la buona creanza.
Anche il meccanismo letterario è simile: tutto il film giocato sul non detto fino al climax finale che in Lost in Translation era una frase incapibile a tutti salvo che ai due protagonisti, mentre qui è una frase urlata dal protagonista alla figlia e che sentiamo tutti salvo la figlia, causa l’assordante rumore dell’elicottero.
(a proposito: strani sti americani che per portare la figlia all’immancabile campeggio estivo partono da Los Angeles in macchina fino a Las Vegas, di lì prendono un elicottero che li porta in una ltro deserto e da lì parte una taxi per il campeggio. ???? nel vederlo mi sono chiesto perché l’elicottero non fosse partito direttamente da Los Angeles e, in secundis, ma dove caspita era sto campeggio estivo: in capo al mondo!!)
La Coppola prende a piene mani da Antonioni, ma difficile dire se ne raggiunge le altezze. Ho la netta impressione che ne rimanga ben distante, ma al di là di queste questioni altimetriche io credo che il cinema debba la propria forza allo straordinario mix di immagini, suoni e parole e costruire un film tarpando le ali alle parole sia come scarnificare poco a poco un insetto, come quando da bimbi, non consapevoli della propria crudeltà, si vede l’effetto che fa.
D’altronde letterariamente parlando, da sempre ci sono coloro che pensano che gli individui si svelino, e quindi debbano essere raccontati, tramite le loro parole, quel che dicono, e coloro i quali ritengono, al contrario, che siano i gesti, le cose che si fanno e come si fanno, la cortesia o la rabbia, la fretta o la calma, a far meglio comprendere un individuo. Ecco, mi pare palese che la Coppola appartenga a questa seconda congerie.
In ogni caso, il film, che non mi è piaciuto, ha comunque momenti delicati, divertenti e agghiaccianti. Delicata è tutta la recitazione della parte della figlia dell’attore, bravissima, dove si coglie un approfondimento psicologico più raffinato, sottile, delicato, appunto. Viene da pensare alla piccola Sofia e alla sua famiglia, ma forse è ingiusto. Divertente e da pura gag è la scenetta del massaggio, dove un inappuntabile massaggiatore allo stupore del suo assistito si scusa dicendo che quello era il suo metodo, basato su approfondite ricerche psicologiche e che era tutto ben spiegato sul suo sito (anche i massaggiatori hanno siti – sigh). Agghiacciante è il confronto tra lo star system americano, dove questi signori attori sono lavoratori, molto ben pagati, tra altri lavoratori e danno del tu a chiunque e ne ricevono del tu da chiunque, e quello italiota, con la polizia che va a prendere il divo all’aeroporto, il sindaco che gli dà le chiavi della città e la produzione gli offre una suite imperiale nel miglior albergo della città suscitando le entisiastiche reazione della figlia dell’attore che quella ricchezza non aveva mai visto (a casa sua). L’Italia è davvero una povera provincia dell’impero, senza dignità né legge, ma questa è un’altra storia.
saluti.