Ancora per una decina di giorni (fino al 4 giugno) è aperta ad Amsterdam presso il Rijksmuseum la mostra più completa delle opere di Vermeer mai prodotta fin qui. La mostra offre, infatti, ventotto capolavori sui trentasei accreditati ufficialmente.

A completamento della visita alla mostra o per propria cultura personale consiglio vivamente la lettura del saggio di Timothy Brook dal titolo Il cappello di Vermeer.

Vi dico subito che non è un libro che tratta esclusivamente di pittura, anzi, per dir la verità, la pittura c’entra solo come spunto per parlare d’altro, dove l’altro è il seicento, il secolo di Vermeer certo, ma anche e soprattutto il secolo del consolidamento di un mondo più strettamente connesso e di infinite scoperte scientifiche e matematiche.

Timothy Brook eccellente sinologo e storico attraverso alcuni quadri di Vermeer ci accompagna in quel secolo facendocene scoprire le interconnessioni. I quadri commentati da Brook sono la Veduta di Deft, Ufficiale e ragazza che ride, Donna che legge una lettera, Il geografo, Donna con bilancia.

Da ognuno di essi Brook trae spunti per commentare lo stato delle relazione culturali e commerciali del seicento, ma al contempo, anche se certo senza continuità, offre anche riflessioni e ipotesi sulla pittura di Vermeer e sulla pittura in genere.

Per esempio all’inizio leggiamo: “Per dare vita alle storie che racconterò nel libro mi soffermerò su di essi, o più esattamente sugli oggetti che vi sono raffigurati: un modo di procedere, questo, che comporta la rinuncia ad abitudini ormai usuali quando si osservano le opere d’arte. Innanzitutto a quella che ci porta a vederle come finestre aperte su un’altra epoca e un altro luogo. E’ una pura illusione pensare che i quadri di Vermeer presentino immagini tratte direttamente dalla vita che animava la Delft del Seicento. Essi non vennero scattati come fotografie, ma realizzati, attentamente e deliberatamente, per presentare non una realtà oggettiva, quanto un scena particolare. …. Possiamo, ad esempio, osservare nel dipinto un calice del Seicento e pensare: ‘Era fatto proprio così?’ E invece poco importa che sia uguale o no ai calici moderni. Dovremmo chiederci piuttosto: ‘Che ci fa lì un calice? Chi lo realizzò? Da dove proveniva? Perchè dipingere un calice e non una tazza da tè o un vasetto di vetro?” (il grassetto è mio)

L’intenzionalità e il simbolismo di ogni elemento di un quadro è una lezione che non dovemmo mai dimenticare. Ogni cosa, ogni particolare presente sulla tela è voluto, fortemente voluto, strenuamente voluto dal pittore. Conoscerne le intenzioni e le motivazioni magari può non interessare, e forse è addirittura illecito chiederne le ragioni, ma ciò non toglie nulla all’errore che si commette pensando alla casualità in pittura.

Ma le notazioni di Brook non sono solo così generali e generiche, ma anche a tratti specifiche su Vermeer. Per esempio: “Vermeer appartiene alla prima generazione di pittori olandesi che ebbero modo di vedere i dipinti cinesi, di rado su seta o carta, più frequentemente su porcellana. Si è detto che il suo utilizzo dell'<<azzurro di Delft>>, il ricorso a sfondi bianchi per dare maggior risalto a tale colore, il gusto per la distorsione prospettica e l’ingrandimento dei primi piani (presenti entrambi nella Veduta di Delft), nonché gli sfondi deliberatamente vuoti, lasciano affiorare l’influenza dell’arte cinese.”

In particolare per ciascuno dei cinque dipinti Brook offre uno spunto spiccatamente pittorico, anche se ripeto circa 250 pagine del libro raccontano principalmente scambi commerciali e vita di quel secolo che per importanza di scoperte scientifiche non possiamo che definire fondativo del nostro mondo attuale.

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