Qualche sera fa ho visto Pollock di Ed Harris.

Bel film. Il punto più bello del film per chi come me ama la pittura è quando la Guggenheim (consigliata da Greenberg) gli commissiona un grande quadro per la sua nuova casa. Pollock costruisce la tela e la poggia alla parete dello studio. Poi sta giorni accucciato nello studio a guardare la grande tela. La moglie lo osserva preoccupata. In silenzio Pollock studia, immagina, riflette. Poi l’immagine viene e lui inizia a lavorare febbrilmente fino a finire il quadro in poche giornate (così pare dal film).

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Ciò che colpisce chi fa pittura è quel periodo di sospensione, di pensiero, di riflessione.

Quando si è chiamati ad un lavoro importante (ma a volte anche in pomeirggi qualunque) le immagini scorrono nella mente, se ne saggiano la profondità emotiva, se ne prefigurano le implicazioni e gli sviluppi, si scartano, si riprendono, si studia il campo, ci si concentra, fino a quando l’immagine, l’immagine idolatrata da Bacon arriva, chiara, semplice, diretta, profonda e si inizia a lavorare. Così è.

A parte questa sensibilità verso il farsi artistico, vedendolo ovviamente è naturale provare invidia sia verso il suo talento, sia per la tribù che lo seguiva e lo consigliava. La moglie in primis che ha continuato a stimolarlo, ma, soprattutto, per Greenberg. Avere come consigliere un signore della sensibilità di Greenberg è stato sicuramente un aiuto fondamentale. Ad un certo punto il critico, osservando la prima fase di Pollock decisamente espressionista, lo consiglia di abbandonare il colore per concentrarsi sul segno. E’ la svolta. La forza e l’energia di Pollock (la sua maggiore scoperta) tracima sulle tele e di lì si rende evidente a tutti noi.

Bel film.

ps: quando da bimbo iniziavo a dipingere i miei si lamentavano con un amico pittore che io rifiutassi il cavalletto e lui, il pittore (si era a fine anni sessanta / inizio anni settanta) rispose che c’era chi dipingeva per terra entrando nel quadro. Dagli States alla provincia italiana.

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