Il male è un cane che ti salta
Alla gola e t’addenta rabbioso
Ch’ogni volta che deglutisci e parli
Morso si stringe e il punteruolo
si ficca ancor di più nella tua rossa
carne, colpo secco, netto dolore
Dei suoi denti di cane che morde.
Nicola.
Il male è un verme schiferrimo
Che ti sale lento su per il culo
E ti mangia piano piano da dentro
Fino a scavarti guance e fronte
E gonfiarti le occhiaie lasciando
Solo occhi disperati piangenti.
Il tuo respiro profondo sul letto
È caverna che buia rimbomba
Prima che morte precipiti.
Alvaro.
Il male è secco guardare nel vuoto
Balbettando robe senza alcun senso
E allontanando a manate gl’altri
Per cadere tonfo nel desiderio
Che sia presto finita e il mondo
Scompaia e la luce si spenga
E si possa finalmente morire.
Giuseppe.
Non esistono discorsi sul male.
Esso c’è, muro ch’appare improvviso
A metà della via, quando lo schianto
È fatale, quand’urlo senza fiato
Sibila che troppo tardi l’occhio
C’avverte per non spaccarsi la testa,
per non esser sbalzati sull’asfalto
bollente e rimanerne così
mortalmente feriti,
squarciati, divelti.
Dio e il maligno si giocarono
ai dadi la vita di Giobbe, figli,
moglie, terre, case, mandrie e pelle,
e nient’altro egli fece se non quel
che noi tutti facciamo: in silenzio
con amici discernere il volere
di Dio piegando di lato la testa,
in attesa che la secca finisca
e l’acqua torni a scorrere a valle.
Questo, ovvio, non attenua l’orrore
Del male ch’ora davanti si para.