Non celare il segreto del tuo cuore,
amico mio.
Dillo a me, solo a me, in segreto.
Tu che sorridi tanto gentilmente,
sussurralo sommessamente,
il mio cuore l’udrà,
non le mie orecchie.
La notte è fonda,
la casa è silenziosa,
i nidi degli uccelli
son coperti di sonno.
Dimmi tra lacrime esitanti,
tra sorrisi titubanti,
tra dolore e dolce vergogna,
il segreto del tuo cuore!
Se tu non parli
riempirò il mio cuore del tuo silenzio
e lo sopporterò.
Resterò qui fermo ad aspettare come la notte
nella sua veglia stellata
con il capo chino a terra
paziente.
Ma arriverà il mattino
le ombre della notte svaniranno
e la tua voce
in rivoli dorati inonderà il cielo.
Allora le tue parole
nel canto
prenderanno ali
da tutti i miei nidi di uccelli
e le tue melodie
spunteranno come fiori
su tutti gli alberi della mia foresta.
A lungo durerà il mio viaggio
e lunga è la via da percorrere.
Uscii sul mio carro ai primi albori
del giorno, e proseguii il mio viaggio
attraverso i deserti del mondo
lasciai la mia traccia
su molte stelle e pianeti.
Sono le vie più remote
che portano più vicino a te stesso;
è con lo studio più arduo che si ottiene
la semplicità d’una melodia.
Il viandante deve bussare
a molte porte straniere
per arrivare alla sua,
e bisogna viaggiare
per tutti i mondi esteriori
per giungere infine al sacrario
più segreto all’interno del cuore.
I miei occhi vagarono lontano
prima che li chiudessi dicendo:
«Eccoti!»
Il grido e la domanda: «Dove?»
si sciolgono nelle lacrime
di mille fiumi e inondano il mondo
con la certezza: « lo sono! »
Non so come tu canti, mio signore!
Sempre ti ascolto
in silenzioso stupore.
La luce della tua musica
illumina il mondo.
Il soffio della tua musica
corre da cielo a cielo.
L’onda sacra della tua musica
irrompe tra gli ostacoli pietrosi
e scorre impetuosa in avanti.
Il cuore anela di unirsi al tuo canto,
ma invano cerco una voce.
Vorrei parlare, ma le mie parole
non si fondono in canti
e impotente grido.
Hai fatto prigioniero il mio cuore
nelle infinite reti
della tua musica.
Che dire?
Mi sembra di leggere una lirica del mio amato Sergio Corazzini, di cogliere in questi tuoi versi un afflato nel quale si mescolano i toni pacati, intimi e colloquiali di una poesia crepuscolare di inizio millennio (un crepuscolo che è alba, quindi, non annuncio di sera) con le mistiche profondità di un animo che tenta un’amorosa ricerca di se stesso, nella condivisione (possibile) con l’amico. C’è molta poesia del Novecento, nei tuoi versi, molta di quella di fine Ottocento, ma soprattutto si vedono le radici profonde di una lettura sensibile di certi canti profetici dell’Antico Testamento.
ooops… non sei tu, ma Tagore!
Come non detto. Elimina. Sono fuso. Meglio che me ne sto buono per un po’.
ciao, parlami della tua poesia, per favore.
mi trova perplesso.
antonio
Caro Antonio, se intendi questa poesia di Tagore, poeta indiano, premio nobel per la letteratura, non è che io abbia molto da dire, salvo averla trovata sulla rete e copiata qui perché mi pare un’ottima poesia. Se intendi la mia poesia, quella che a volte pubblico qui con argomenti vari (mio figlio, il tempo, ecc.) allora è un’altra vicenda, anche se pure in questo caso le cose da dire non sono molte. scrivere, scrivere poesie è un atto necessitato.