Per chi non lo sapesse i signori Gilbert Proesch (tirolese italiano di nascita) e George Passmore (inglese inglese) sono due degli artisti più idolatrati dalle gallerie d’arte di ogni parte di mondo.
La loro fortuna nasce poco dopo il loro incontro (1967) quando iniziarono ad esibirsi nei locali e nei parchi di Londra quali “statue viventi”. Il loro motto e la loro poetica allora era “Arte per tutti”. Fatto sta che quattro anni dopo (1971) tengono una loro mostra allo Stedelijk Museum di Amsterdam.
E’ bene sottolineare che nel 1967 i due avevano venticinque anni circa e che, come si è visto, la loro fortuna, anche internazionale, venne presto, molto presto.
Al di là delle performances, delle quali poco capisco e poco o nulla mi interesso, fin da subito il loro marchio di fabbrica è stato l’autoritratto fotografico, spesso nudo, inserito negli ambienti monospaziali più vari. Colori sgargianti e scritte a formato cubitale completano la loro iconografia.
L’uso della fotografia, per quanto spesso stravolta e piegata alle esigenze artistiche dei due, ne caratterizza l’opera figurativa. In questo le loro opere stanno al confine (o forse un bel pezzo più in là) tra pittura e opera grafica. Quel che è certo è che non illustrano mai nulla se non se stessi inseriti su sfondi o accompagnati ad immagine a forte valenza retorica. Le loro opere non impegnano, occupano, stanno lì, alcune fanno riflettere, tutte ricordano al mondo la gentilezza e l’eleganza e la normalità della omosessualità.
Dal mio punto di vista, dal punto di vista di uno che sta cercando la pittura, ciò che di buono c’è da prendere sta nella freschezza dei colori e nella sottolineatura dell’importanza e della valenza della iconografia classica. IL resto è retorica sul mondo quale esso è e quale dovrebbe essere: elegante, ironico, sarcastico a volte, sempre provocatorio (anche se, ovvio, in senso buono).
Perché questi due signori abbiano avuto tanta fortuna non so. Se stessi come arte, se stessi come opera d’arte, se stessi come racconto ed immagine, come look è cosa ben nota che periodicamente ritorna. Vestirsi sempre in maniera sobria ed elegante (salvo quando si è completamente nudi) è uno dei tanti modi per costruire la propria immagine, scopo al quale, pare di capire Gilbert & George hanno lavorato tutta una vita, peraltro senza, pare ancora una volta, ripetere l’incredibile successo del 68 e degli anni seguenti. Evidentemente ancora una volta ha pagato e paga. Solo gli stolti, quorum ego, mirano soltanto all’opera, quando è di tutta evidenza che alla buona opera deve unirsi anche una raffinata e curatissima esibizione di sè.
Interessante comunque, anche se non è arte (io non so giudicare). Penso che conoscere il lavoro altrui sia sempre ‘illuminante’, in un senso o nell’altro.
come credo si capisca da quel che ho scritto, anche io nutro forti dubbi sul contenuto artistico delle opere dei due. però non possiamo ignorare quel che avviene vicino a noi, no?