La ciotola del pellegrino di Philippe Jaccottet (Casagrande editore, 2007), Gran Premio Shiller 2010 è un libro di poesie, di filosofia e di critica d’arte tutto nello stesso tempo e momento.

Il signor Jaccottet, che io colpevolmente non conoscevo, nato nel 1925 è, dice la quarta di copertina, universalmente considerato uno dei massimi poeti e saggisti viventi.

Ora questo io non lo so per ignoranza bancaria, ma quel che so è che questo libretto (51 pagine appena)  sull’opera di Giorgio Morandi è di una bellezza classica.

Nelle sue pagine ci si interroga su due cose: perché quadri così monotoni come quelli di Morandi siano tanto affascinanti e struggenti e perché Morandi per tutta la vita continuò a dipingere solo i suoi barattoli (salvo qualche sortita nei paesaggio).

La prima domanda si scioglie in stupore, nella contastatazione, cioé,  che le opere di Morandi siano poesie dipinte e che proprio per questo colpiscano l’occhio, ma soprattutto l’anima di chi guarda.

Sono poesie di un unico e prolungato Canzoniere, raccolta però tutta modulata, in continuo approfondimento, su un solo tema, la cosa in sé, il barattolo, la tazza, il bicchiere e del suo rapporto con lo spazio e la luce, un po’ come i Sonetti di Shakespeare battono e ribattono un unico tema, l’amore.

Il secondo quesito, invece, rintraccia in Pascal e Leopardi le tracce di una vocazione ad un pessimismo capace di trovar pace solo nel lavoro quotidiano, nell’attesa che qualcosa si compia, sotto le nostre mani, con la nostra pazienza, con la pazienza che Giorgio Morandi metteva (anche) nell’aspettare ogni domenica le proprie sorelle fuori dalla Chiesa.

Ma ciò che qui conta è la qualità del linguaggio di Jaccottet, nella traduzione di Fabio Pusterla, linguaggio asciutto eppure lirico, denso, ma sognante, tattile e onirico. Poesia.

Vale la pena di spendere i 14 euro che chiede l’editore per avere in casa un libretto che potrà tornare a dare pace e riflessione ogni volta che se ne senta il bisogno.

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