Sul Corriere di ieri Dorfles al solito scrive cose interessanti a proposito di Adorno e della musica.
Scrive che per godere della musica, in particolare e in maniera precipua rispetto alle altre arti, bisogna avere un ascolto “attento” e “informato”.
Notato che un approccio “attento” e “informato” è lo stesso che ci viene richiesto ogni qual volta in un ospedale ci vogliono far fare cose sicuramente necessarie, ma delle quali non capiamo (giustamente) un’acca e che, ciò nonostante, dobbiamo accettare firmando un pezzo di carta su cui appunto c’è scritto che siamo stati attenti e informati di quel che ci sta per accadere, io dico che ogni arte per essere “gustata” appieno avrebbe bisogno di un approccio”attento” e “informato”, che alcuni (pochi) hanno, ma che la massa non ha.
E allora? Per soddisfarsi di un cibo, bisogna essere cuochi o, almeno, assistenti di cucina? Questo significa che la massa non capisce nulla e non sente nulla? Non credo.
Dorfles lamenta, o sembra lamentare, che “troppo spesso (la musica) viene seguita da chi non ne possiede i segreti del linguaggio o da chi non ne riconosce l’aspetto tecnico e scientifico e fruisce soltanto quello <<patetico>> o addirittura sentimentale:”
Ripeto: e allora?
Al contrario, mi viene da dire che la musica, e l’arte tutta in genere, trova la propria ragione essenziale nel essere seguita e apprezzata da chi non ne capisce nulla. Qui sta la sua grandezza. Pensate che divertimento se ai concerti assistessero solo musicisti o se alle mostre di pittura andassero solo pittori? Al di là della solitudine generale, quanto sarebbero divertenti quei bei discorsi settari sul “noi” e “loro”, oppure sulla campitura di colore e sull’uso della crasi in pittura? Divertentissimi. Uno spasso.
Io credo che la grandezza dell’arte stia nella sua possibilità di essere goduta (fisicamente intendo) a vari livelli e che null’altro di veramente sensato sia stato detto dopo che Dante ne parlò nel Convivio.
Il godimento, il piacere, l’emozione e per il loro tramite il pensiero sono lo scopo dell’arte e come ognun sa, ognun gode alla propria maniera e nei limiti della propria sensibilità.
Solo attraverso l’emozione, l’arte ha diritto di parlare alla mente.
Questo, ovviamente, nulla ha a che fare con la necessità tecnica, più volte predicata qui e altrove, che costituisce l’altro pilastro dell’arte (quello che distingue l’artista dal demente). Ma questa è un’altra storia