L’avventura di Sonia e Robert Delaunay vive in quel crogiuolo di fermenti e idee che fu la Parigi degli anni immediatamente precedenti la prima grande guerra.

I due si incontrano, infatti, nel 1908 e si sposano nel 1910.

Il cubismo è del 1907. Il futurismo del 1910. I primi lavori astratti di Kandisky sempre del 1910. Prima avevamo avuto la secessione viennese (1897), poi avremo il suprematismo (1915).

Lei è una giovane pittrice ucraina, lui un altrettanto giovane pittore francese. Partono entrambi affascinati da Van Gogh, Gauguin e i Fauve. La violenza del colore, la sua espressività, il coraggio di alcuni accostamenti li affascinano. Sentono l’elettricità nell’aria. Come tutti si ribellano alle impressioni: vogliono cose, colori, velocità, vita.

Insieme ai due fratelli Duchamp e a Kupka fondano un gruppo che Apollinaire definirà orfico. Indagano a loro volta i colori e le loro relazioni, montando e smontando l’iride per approfondire accostamenti, relazioni, contrasti, ritmi, ma mentre Robert nel proprio percorso avrà frequenti ondeggiamenti, Sonia rimarrà sempre fedele a quelle iniziali intuizioni.

In questo milieu, infatti, Sonia cerca e trova una propria via aprendo ad una commistione tra arte e moda che la porterà a creare vestiti di luce, semplici linee sartoriali adatte ad ospitare le sue ricerche sui colori.

D’altronde quelli furono gli anni di grande ripensamento sul confine tra arte e artigianato, tra tecnica e ispirazione. Proprio la secessione viennese aveva sottolineato l’importanza di una continuità tra pittura e arti plastiche, design, architettura che poi futurismo e Dadaismo fecero propria.

Sonia qui si inserisce e crea un proprio linguaggio che unisce pittura e moda, creatività e artigianato e se da un punto di vista pittorico le sue opere mantengono una coerenza che spesso il marito perde, i suoi vestiti rivoluzionano con i suoi colori e i suoi intrecci il panorama della moda femminile. Vestiti, scarpe, gioielli: l’attenzione di Sonia spazia e non ha limiti.

Ciò nonostante, come notava il direttore della Tate, il contributo di Sonia all’arte moderna e all’astattismo è meno riconosciuto di quanto non sia giusto, marginalizzandola in una storia dell’arte che ha prioritizzato gli artisti maschi e posizionato il suo lavoro come decorativo.” Bizzarra questo assunto negativo per un aggettivo, decorativo, così assonante con l’arte “tranquilla” teorizzata da Matisse in contrasto con Picasso. Ma tant’è: loro erano maschi e Sonia moglie.

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