Da Chiavari un amico mi avverte che è mancato Giovanni Job. Come ho scritto anni fa, conobbi Giovanni da bambino e la sua mano nel disegno fin da allora mi affascinò. Non eravamo amici. Conoscenti, direi. Io sapevo chi era e se lo incontravo ci si dava del tu, come capita a chi è di Chiavari e ha largo circa la stessa età. Adesso è mancato dopo una lunga malattia. Come Alberto, un altro amico, se ne è andato dopo aver lottato a lungo contro una paralisi progressiva, che, leggo, non gli ha impedito di esprimersi fino all’ultimo.
Non so cosa abbia prodotto negli ultimi anni.
So che l’emozione che mi hanno dato alcune sue opere è indelebile. So, per esempio, che le sue litografie ad illustrazione di Se ghe vede, se ghe sente sono potenti, ironiche, grottesche e con un tratto di grande equilibrio e padronanza. So che la sua Via Crucis mi colpì per intima riflessione. So che le vetrate a San Pier di Canne incantano per colori al tramonto, quando le luci della Chiesa s’accendono. So, insomma, che la sua capacità tecnica, la sua mano, appunto, fino a quando è rimasta salda era nel tratto della semplicità dei grandi.
Giovanni mancherà a me pur nella sua assenza. Non riesco ad immaginare il dolore della moglie e della figlia a cui vanno, ovvio, le mie più sentite condoglianze.