Cari amici vicini e lontani, la “pontite”, famoso e benefico contagio di origine sconosciuta, ma che si è ormai notoriamente irradiato in tutto l’occidente, ha colpito anche Prima i Lettori che tornano, quindi, dopo il ponte del 25 aprile.
Nella terza settimana di concorso abbiamo avuto:
Lorenza Rappoldi ci ha invitato a conoscere un testo forse minore di Edith Wharton, ma comunque di grande pregio: la pietra di paragone. La Wharton, ricca di suo e sposa di un banchiere, tratteggiò meglio di chiunque altro la rigidità della ricca borghesia americana. Spronata da Henry James a scrivere, riuscì nell’impresa di essere la prima donna a vincere il premio Pulitzer con L’età dell’innocenza. Qui la storia è raccontata attraverso un carteggio tra una scrittrice famosa e il suo amato. Peccato che l’amato non ricambiasse più di tanto.
Paolo Coletti partecipa al nostro concorso (anche) con Come cavalli che dormono in piedi di Paolo Rumiz, un libro avvolgente sulla prima guerra mondiale e su cosa quel cataclisma avvenuto nel cuore dell’Europa abbia significato per tedeschi, austriaci, italiani e per quelle terre spazzate dal sibilo dei mortai. In un lungo viaggio Rumiz raccoglie le voci dei figli e dei nipoti di chi quella guerra la visse e inevitabilmente la perse.
Marco Cortini ci manda invece di Alessandro Robecchi Torto marcio, un giallo ambientato nella Milano di oggi, in una Milano ampia e diversa, nella quale tutto si fonde e si mischia e le verità sono tante e nessuna, anche se una emerge con chiarezza cristallina: che la distanza che c’è tra le varie Milano va ben oltre il chilometraggio che separa Quarto Oggiaro e via Manzoni. Un giallo, insomma, nel quale la storia recente su mischia alla cronaca per cercare di ridare, con umorismo e ironia, il gusto di questa Milano, nella quale da bere è rimasto poco.
Marco Grando, infine, ci segnala Spesso sono felice di J.C. Grøndahl, un romanzo nel quale ricordi e vita si tessono nel riconoscimento che la felicità è una propensione alla vita, più che una condizione oggettiva. E d’altronde questa è la propensione che porta una settantenne a cambiare vita, a lasciare il presente per tornare ad un passato che è al contempo, ovviamente e inesorabilmente, futuro. Il ritorno al quartiere della propria infanzia si trasforma quindi in pretesto per ricordare certo, ma anche per osservare quanto tutto sia cambiato e proprio per questo interessante e vitale.
Il concorso prosegue.
Segnalate, gente, segnalate.