Che senso ha unirsi al coro delle lodi per un film che ha appena sbaragliato la concorrenza nella notte degli Oscar? Nessuno. Tutti sanno che il film è bellissimo e quindi ripeterlo è solo noia.
Però dirlo, ripeterlo è doveroso, come doveroso inchinarsi alla bellezza e alla poesia quando la si incontra per strada, poesia e bellezza di cui tutto il film è miracolosamente ricolmo.
Fiaba, racconto, remake, il film vive nella tensione tra l’amore e la ragione di stato, tra il privato e il pubblico, a cui il finale favolistico regala anche la perdita della scarpetta di cenerentoliana memoria. Lui, il principe, la bestia, la cosa, la creatura, è orribile, ma come tutti i principi la risveglia con un bacio e la lega a sé per tutta l’eternità.
Nulla importa che abbia gli occhi ipertiroidei e soffi come un gatto gonfiando le branchie e le scaglie: l’amore prevale con forza brutale e lei, il piccolo anatroccolo muto, sa dove toccarlo. Carezzargli le spalle. Mettergli una mano sulla testa e come i bimbi la bestia si calma.
Leggendario l’incipit con la vasca dei sogni. Leggendario il divano sul quale lei ogni giorno riposa, così come la grande vasca dove ogni giorno lei cerca il piacere.
Bello. Nient’altro. Nulla più.