continuo.
“Ma se uno ha imparato così tanto dall’Inferno ci sono cose che possono essere imparate anche dalle due successive parti del poema.
Dal Purgatorio si impara che una semplice affermazione filosofica può essere grande poesia; dal Paradiso che anche i più rarefatti e remoti stati di beatitudine possono essere materia per grande poesia.
E pian piano arriviamo ad ammettere che Shakespeare comprende una varietà e tipologia di esistenze umane ben maggiore di Dante, ma che Dante a sua volta le comprende con maggiore profondità il degrado e la esaltazione.
Una maggiore saggezza si raggiunge quando capiamo che questo significa una uguaglianza di questi due uomini.
Da un lato, il Purgatorio e il Paradiso da un punto di vista della comprensibilità sono simili. E’ apparentemente più facile accettare la dannazione come materiale poetico piuttosto che la purificazione o la beatitudine; c’è infatti meno di quanto non sia strano per la mentalità moderna.
Insisto che il vero significato dell’Inferno può essere compreso solo dopo aver apprezzato le successive due parti, anche se ha sufficiente senso da per sé fin dalla prima lettura. Sicuramente il Purgatorio è, penso, il più difficile delle tre parti. Non può essere goduto da solo come l’Inferno; richiede che si apprezzi anche il Paradiso che la sua prima lettura è ardua e apparentemente avara. Soltanto dopo aver letto fino in fondo il Paradiso e riletto l’Inferno, allora il Purgatorio inizia a risplendere nella sua bellezza. La dannazione e persino la beatitudine sono più eccitanti della purificazione.
