Ricordato e citato dal Corriere della Sera, questo sonetto del Foscolo mi colpisce per le evidenti assonanze con una esperienza umana comune di stanchezza e vecchiaia.
Non son chi fui: perì di noi gran parte:
Questo che avanza è sol languore e pianto;
E secco è il mirto, e son le foglie sparte
Del lauro, speme al giovenil mio canto;
Perché dal dì ch’empia licenza e Marte
Vestivan me del lor sanguineo manto,
Cieca è la mente e guasto il core, ed arte
L’umana strage arte è in me fatta, e vanto.
Che se pur sorge di morir consiglio,
A mia fiera ragion chiudon le porte
Furor di gloria, e carità di figlio.
Tal di me schiavo, e d’altri, e della sorte,
Conosco il meglio ed al peggior mi appiglio,
E so invocare, e non darmi la morte.
Non son chi fui, perì di noi gran parte, endecasillabi di chiara matrice dantesca, è di grande forza e bellezza. Esso solo merita la lettura.
