Domenica gita a Piacenza a visitare il Duomo e la sua cupola. Muglierema aveva visto non so quale servizio televisivo e ne era rimasta, giustamente, affascinata. In effetti la visita vale tempo, benzina, autostrada e ingresso (ridotto come soci FAI).

Il Duomo ha origini saldamente medioevali e soprattutto la cripta lo testimonia ampiamente (ma anche le numerose formelle incastonate nelle colonne che delimitano le navate).

Poi all’inizio del seicento tal vescovo Claudio Rangoni ordinò a Ludovico Carracci (cugino dei fratelli Carracci) e Camillo Procaccini di decorarlo con affrechi e tele. I due erano amici e immagino si divisero ben volentieri la commessa che fu portata a termine tra il 1605 e il 1609. All’epoca i due erano nella propria piena maturità, avendo uno quarantaquattro anni e l’altro cinquantadue.

Ventanni dopo un altro vescovo, Giovanni Linati, decise di far affrescare la cupola rimasta fin lì a grezzo e chiamò per primo Pier Francesco Mazzucchelli, detto il Morazzone (perché era nato il quel tal paese), il quale, pur non essendo vecchissimo, fece a tempo ad affrescare solo due delle sette vele della cupola, prima di morire improvvisamente.

Allora il vescovo si vide costretto a chiamare una star dell’epoca, ovvero Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino (pare fosse strabico), che finì l’opera lavorando due anni, dal 1626 al 1627.

Prima notazione: tutti i protagonisti di questa storia, salvo il Morazzone (che però morì subito) erano saldamente emiliani, ma non di Piacenza. Chi nato a Parma, chi a Modena, chi a Bologna, chi a Cento. L’Emilia in quegli anni era fucina di talenti pittorici. (ma anche molte altre regioni, per la verità: il seicento è il secolo della pittura e in specie di quella italiana).

Seconda notazione: senza voler disconoscere i maggiori meriti dell’uno rispetto all’altro o le particolarità di ciascuno le opere denotano una comunanza di cultura visiva e unitarietà di impostazione stilistica che non si era vista nei secoli precedenti e non si vide dopo. Distinguere chi dipinse cosa necessita di uno studio e conoscenza che va oltre il comune sapere de noialtri. In queste opere l’influenza di Caravaggio è largamente assente, sia in termini di luce che di assetto compositivo, mentre eccheggia ancora in piena potenza quella di Michelangelo.

Quindi data questa unitarietà di impostazioni e stili la gara a quattro tra Procaccini, Carracci, Morazzone e Guercino per una volta finisce tutta ex aequo. La storia (e il gusto personale) dirà altrove chi tra questi merita di più. Io sono di parte e voto Guercino.

Tutto ciò premesso, come detto, la gita vale ogni sforzo.

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