- Il rito di passaggio
- Perdere per acquisire
Nel mito antico il cambiamento si configura come morte e nascita; la morte rende possibile la nascita; la morte, la discesa, rendono possibile la risalita. Non c’è nascita e poi morte, bensì c’è morte e quindi rinascita, rinascita possibile solo in quanto c’è stata una morte precedente che ha creato la condizione per il passaggio al nuovo. Katodos, Anodos e Katarsis. La formula base per gli antropologi e psicanalisti SEPARAZIONE – INIZIAZIONE – RITORNO è l’ essenza del nucleo del viaggio. Nel sistema junghiano non esiste il raggiungimento di una fissa staticità, bilanciata e salda in se stessa; esiste solo e sempre la “distruzione” come unica possibilità di poter costruire qualcosa di nuovo. Questa distruzione si applica sulla conservazione ed aumento delle scoperte e degli sviluppi precedenti; distruggendoli e riprendendoli, ritrovandoli per accrescerli.
Non è vero che più si conosce e più si ha, che più si immagazzina e più si possiede. La nostra percezione e la nostra memoria (spaziale e temporale) non sono un contenitore quantitativamente smisurato. Sovraccaricarle porta ad una asfissia di conoscenza; ci deve essere un via vai continuo, una contabilità di entrate ed uscite nel magazzino del nostro sapere. E’ fondamentale la “perdita” di qualcosa, come possibilità di acquisizione. Bisogna perdere qualcosa di vecchio, per rigenerarlo nel nuovo. Non si può continuare semplicemente a ‘metter dentro’, aumentare, concimare, fertilizzare, stipare. Il viaggio è qui inteso come possibilità di rinascere continuamente, se si è aperti al nuovo, se si incede scegliendo di tralasciare il superfluo, di non voler ‘vedere tutto’, del passar oltre attendendo il segreto che si sveli.
“ il fascino del viaggiare è lo sfiorare innumerevoli scene ricche e sapere che ognuna potrebbe essere nostra e passar oltre, da gran signore”. (Pavese: 2-VI-’46)
Si cambia per ‘liberarsi’ del superfluo, di ciò che ci tiene legato. Non è vero che si combatte sempre per ottenere qualcosa in più, per accumulare, per allargare, accrescere. Si combatte anche per liberarsi del male, del vecchio; ‘si combatte per perdere’ ( perdere per rigenerarsi, per rinascere)
“Il mito greco insegna che si combatte sempre contro una parte di sè, quella che si è superata…Si combatte per non essere qualcosa, per liberarsi” (Pavese: 28-XII-’47)
- Andare piu’ in là
Nell’ immaginario medievale Alessandro il Grande è colui che compie questo intero ciclo, è colui che và fino in fondo. Mentre la figura del macedone conquistatore affascinerà i latini e il Rinascimento, i medievali rimasero incantati dall’ Alessandro viaggiatore, alla ricerca della conoscenza, non della gloria. Se il suo viaggio terreno, sociale, lo aveva portato fino in India, il suo viaggio iniziatico di conoscenza va ben oltre. Si narra in un testo del 1450 scritto alla corte di Borgogna che
“ Dopo che Alessandro ebbe sottomesso i regni dell’ oriente sino alle Indie, giunse a un monte alto al punto che sembrava che toccasse con la cima il cielo, e, mentre così contemplava quel monte, pensò fra sè e sè in che modo potesse riuscire a oltrepassare le nuvole per sapere cosa fosse l’ aria. Così ordinò subito quel che ora vi racconterò. Fece venire i carpentieri, e questi dovettero fargli una gabbia abbastanza grande perché egli vi si potesse sedere comodamente. Approntata questa gabbia, fece portare otto grifoni, di cui aveva una quantità nel suo esercito perché tutte le cose strane portate dall’ India le portava con sè; fece incatenare solidamente i grifoni alla gabbia, due per ogni lato. Allora comandò ai suoi baroni di aspettare finchè ricevessero sue notizie, ed entrò in detta gabbia e prese con sè alcune spugne intrise d’ acqua e una lancia alla cui estremità infilò un pezzo di carne, e la teneva in alto fuori dalla gabbia. Allora i grifoni che avevano fame, presero ad elevarsi nell’ aria per acciuffare la carne, e spiccando il volo sollevarono in alto la gabbia con la carne e via. Infine salirono tanto in alto che i baroni perdettero di vista il loro signore nonché la gabbia e gli uccelli, e lo stesso accadde ad Alessandro quanto ai baroni. (…) Allorché Alessandro si trovava allora tanto in alto, temette che il piumaggio dei suoi uccelli potesse bruciare, e allora rivolse a Dio onnipotente la preghiera di compiacersi nella sua bontà e grazia di lasciarlo tornare sano e salvo al suo popolo per amore della salute sua e del suo popolo. Allora la divina onnipotenza avvolse nelle nuvole la gabbia e gli uccelli cosicché se ne tornarono indietro e ridiscesero sulla terra. Ma egli atterrò a una distanza dal suo esercito di più di dieci giorni di marcia.”.
(…) Poco tempo dopo sorse in lui il desiderio di scrutare come l’ aria così anche il fondo del mare per vederne le meraviglie, e subito fece venire gli artigiani ai quali commise una botte di vetro grande e larga in modo che ci si potesse voltare comodamente. In una botte come questa egli avrebbe potuto vedere benissimo tutte le cose che accadevano laggiù. Questa botte la fece poi ancora fasciare con resistenti catene di ferro e munire su in cima di un anello al quale fu fissata una resistente fune di canapa. Entrò in questa botte costruita secondo il suo desiderio, prese con se alcune lampade e fece poi oscurare così bene l’ entratura in alto che nemmeno una goccia d’ acqua ci poteva entrare, e con essa su di un battello si recò in alto mare e si calò giù con la fune. Quel che laggiù scorse era cosa quasi da non credersi, come disse al ritorno; se non le avesse viste, egli stesso non avrebbe creduto quelle cose; vide pesci che sul fondo camminavano come quadrupedi, e che mangiavano i frutti degli alberi che si trovavano sul fondo. E balene di volume davvero incredibile, le quali però quando cercavano di avvicinarglisi si ritraevano impaurite dalle lucenti lampade che egli aveva preso con se. E infine non volle svelare neanche la metà di quel che aveva visto. Disse però questo, comunque: aveva visto pesci in forma umana, di uomo e di donna, che camminavano con i piedi e che cacciavano i pesci per mangiarli come sulla terra si cacciano gli animali. Dopo aver contemplato a suo agio le meraviglie del mare diede un segnale a quelli che stavano su, affinché lo tirassero a galla. Questi lo fecero ed egli fu di nuovo condotto sul battello. Allora spezzò la botte, ne uscì e se ne tornò nella sua tenda dove i baroni lo aspettavano con grande preoccupazione e ansia”.[1]
Certamente questi due viaggi si caricano di significati simbolici, ma proprio essendo allegoria portano all’ estremo il significato inconscio del viaggio. Nel viaggio verso l’ aldilà la ricerca non si ferma davanti a niente e a nessuno, abbraccia i poli del conosciuto e dello sconosciuto…
“ cercò le selve, i campi, il monte e il piano,
le valli, i fiumi, gli stagni, i torrenti,
la terra e ‘l mare; e poi che tutto il mondo
cercò di sopra, andò al tartareo fondo.
…non avria per cercare
lasciato selva o campo o stagno o terra o mare,
il cielo e ‘l fondo de l’ eterno oblio.”
( Furioso, XII, 2-3)
Joyce, in Finnegans Wake, chiama questo nucleo fondamentale originario MONOMITO, rito di passaggio, trasformazione totus substantiae, rito di viaggio senza confini terrestri e di vita.
La particolarità curiosa è che si presenta a carattere rovesciato, non volto ad acquisire ma a riottenere, non a scoprire ma a riscoprire. Non si cerca la novità per se stessa, non si rincorre il cambiamento continuo, bensì la ricerca è rimettersi in gioco ogni volta per non immobilizzarsi. Il monomito ha carattere circolare di avanzamento a spirale: in senso musicale, “riprende” il tema già esposto per variarlo in modo nuovo, perde per ritrovare, lo fa morire per ritrovarlo rinato, accresciuto.
[1] Aby Warbourg: “Aeronave e sommergibile nell’ immaginazione medievale” in La rinascita del paganesimo antico, Firenze, La Nuova Italia, 1966, pp.276-278