(continua)
Shakeespeare ci offre nella sua più vasta ampiezza la passione umana; Dante la massima altezza e la massima profondità. Sono complementari l’uno all’altro. E’ inutile chiedersi chi fece il lavoro più difficile. Ma certamente i “passaggi difficili” nel Paradiso sono più le difficoltà di Dante che le nostre: la sua difficoltà nel farci apprendere in maniera sensuale i vari stati e i vari gradi di beatitudine. Di conseguenza la lunga orazione di Beatrice circa la Volontà (Canto IV) è realmente diretta a farci sentire la realtà della condizione di Piccarda; Dante deve educare i nostri sensi man mano che procede. L’insistenza continua è sugli stati del sentire; il ragionamento ha il proprio ruolo come mezzo per raggiungere questi stati. Troviamo sempre versi come questi:
Beatrice mi guardò con gli occhi pieni
di faville d’amor così divini,
che, vinta, mia virtù diedi le reni,
e quasi mi perdei con gli occhi chini.
La vera difficoltà sta nell’ammettere che questo è qualcosa che siamo chiamati a sentire, non soltanto una costruzione decorativa. Dante ci dà ogni aiuto in termini di immagini, come quando:
Come in peschiera, ch’è tranquilla e pura,
traggonsi i pesci a ciò ch vien di fuori
per modo che lo stiman lor pastura;
sì vid’io ben più di mille splendori
trarsi ver noi, e in ciascun s’udia:
Ecco che crescerà li nostri amori.
Circa le persone che Dante incontra nelle varie sfere, dobbiamo solo informarci un minimo per capire perché Dante le abbia messe dove le mise.
Dopo che abbiamo comprso la stretta utilità delle immagini minori, come quella qui sopra, o anche la semplice comparazione ammirata da Landor:
Quale alledetta che in aere si spazia
primo cantando, e poi tace contenta
dell’ultima dolcezza che la sazia,
possiamo studiarla confrontandola con l’immaginario più elaborato, come la figura dell’Aquila composta dagli spiriti di giusti, che si estende dal Canto XVII in poi. Queste figure non sono soltanto antiche costruzioni retoriche, ma solidi e pratici mezzi per rendere visibile lo spirituale. La comprensione della correttezza di queste immagini è una preparazione all’apprendimento deell’ultimo e più grande canto, il più tenue e il più intenso. In nessun altro luogo poetico una esperienza così distante da quelle ordinarie è stata espressa così concretamente, usando quell’immagine della luce che è al forma di certi tipi di esperienza mistica.
Nel suo profondo vidi ch s’interna
legato con amore in un volume
ciò che per l’universo si squaderna;
sustanzia ed accidenti, e lor costume,
quasi conflati insieme per tal modo,
che ciò ch’io dico è un semplice lume.
La forma universal di questo nodo
credo ch’io vidi, perché più di largo,
dicendo questo, mi sento ch’io godo.
Un punto solo m’è maggior letargo,
che venticinque secoli alla impresa,
che fe’ Nettuno ammirar l’ombra d’Argo.
Si può provare solo soggezione di fronte alla potenza del maestro che ha potuto così rendere in ogni momento l’incomprensibile in immagini visive. E non riconosco in nessun altra poesia il segno più autentico di grandezza che nel poter associare come ha fatto nell’ultimo verso, parlando della Divina visione, quando ha introdotto Argo passando per la testa di uno stupefatto Nettuno. Questa associazione è completamente diversa da quella di Marino che parla in un respiro della bellezza della nostra Signora e l’opulenza di Cleopatra (tanto da non essere sicuri che gli aggettivi siano adatti). E’ la vera cosa giusta, il potere stabilire relazioni tra la bellezza nelle sue più diverse forme; è il massimo potere del poeta.
O quanto è corto il dire, e come fioco
al mio concetto!
Nello scrivere della Divina Commedia ho cercato di sostenere pochi chiari punti di cui sono convinto. Per prima cosa la poesia di Dante è uno delle scuole universali di stile per scrivere poesia in qualunque lingua. Questo è vero, naturalmente, per chi scrive nella stesso Toscano di Dante; ma è vero che nessun altro poeta in nessun altra lingua – neanche in Latino o in Greco – è un modello tanto potente per tutti i poeti. Ho cercato di illustrare la sua maestria universale nell’uso delle immagini. Nello scrivere oggi mi sono spinto fino a sostenere che sia più sicuro seguire lui, anche per noi, piuttosto che qualsiasi altro poeta inglese, incluso Shakespeare. Il mio secondo punto è che il metodo allegorico di Dante ha grandi vantaggi per scrivere poesia: semplifica la dizione, rende chiare e precise le immagini. Che nelle buone allegorie, come quelle di Dante, non è necessario capire il significato prima di gioire, ma il piacere della poesia ci fa sentire il bisogno di comprendere il significato. E il terzo punto è che la Divina Commedia è una scala completa di emozioni umane dalle profondità alle altezze; che il Purgatorio e il Paradiso devono essere lette come estensioni delle ordinarie e molto limitate possibiltà umane. Ciascun grado del sentimento dell’umanità, dal più basso al più alto, ha, inoltre, una relazione intima col suo vicino più alto o più basso, e tutte sono unite d’accordo con la logica della sensibilità.
Devo solo ora fare alcune osservazioni sulla Vita Nuova, che possono anche ampliare ciò che ho suggerito circa la mentalità medioevale espressa nell’allegoria.
