Sandro Frera blog dal 2006

pittura, letteratura, cinema e altro

Il senso del viaggio. (P. Crovetto) – 1° parte

Come si conviene ad ogni viaggiatore all’ inizio di un percorso, fermiamoci per un momento sulla soglia del libro; prima d’ incominciare questo “viaggio” fermiamoci per un attimo sul prossimo paragrafo come ultimo momento d’ indugio prima dell’ avventura. C’è infatti un momento importante che precede ogni inizio, ogni partenza: è l’ attimo di esitazione nel quale ci si accorge di non esser più a casa – ma al tempo stesso non si è ancora partiti. Fermi sul treno che sta per muoversi, sull’ aereo prima di prendere la rincorsa per il decollo, sulla soglia della propria casa o della propria città, si indugia per un attimo – e poi si prende subito l’ avvio. In quell’ attimo di incertezza non si è ancora lasciata la soglia e già nasce la nostalgia; non si è ancora in viaggio e già si vorrebbe esser di ritorno: è questione d’ un secondo, ma tanto basta. E’ il momento di esitazione che rinforza la decisione della partenza, che ci dà la concentrazione per l’ avvio e ci rincuora per tutto ciò che di nuovo ci attende.

Questo attimo d’ esitazione sulla soglia della partenza l’ abbiamo rintracciato in un quadro del Carpaccio, il Ritratto di Cavaliere, che rappresenta per noi la soglia, il momento dell’avvio, del distacco, della partenza.

Non si sa bene dove nacque Carpaccio; una leggenda dice oltre la Laguna, verso la Dalmazia; forse ancora più a Est. Sicuro è, che nell’ agosto 1511 scrisse una lettera a Francesco Gonzaga duca di Mantova offrendogli una grande veduta della città di Gerusalemme.

Se quella della nascita a Levante è leggenda, molto più probabile è invece un viaggio reale di Carpaccio a Oriente, questione che ha molto occupato gli studiosi. I suoi quadri, in effetti sono colmi di motivi orientali, e le leggende di Sant’ Orsola e le vedute della città di Venezia.

Un quadro particolare, apparentemente più “locale”, non descrive grandi vedute orientali di città o popolazioni esotiche, eppure riesce a farci intravedere e sognare un mondo lontano senza doverlo necessariamente rappresentare. E’ il Ritratto del Giovane, che rappresenta una figura tipica del tempo, quella di un cavaliere. Carpaccio, ricordiamolo, è nato intorno al 1460-1465.  Guerino il meschino di Andrea da Barberino, il Morgante di Pulci (1483) l’ Innamorato di Boiardo (1501), poemi colmi di cavalieri e gesta cortesi, erano le ottave dei cantari in voga a quel tempo. Quando apparve l’ Orlando Furioso (1516) Carpaccio aveva cinquant’ anni. La corrispondenza tra le espressioni artistiche si costruisce in modo marcato.

L’ enigmatico cavaliere del Carpaccio (probabilmente il giovane Francesco Maria della Rovere, duca di Urbino) è rappresentato al momento della partenza. Dal suo castello lacustre tra gli alberi, fuori le mura della cittadina, tra falchi, cervi, cani, conigli e cicogne – ci piace pensarlo in partenza per l’ Oriente proprio come i cavalieri dei poemi dell’ inizio ‘500.

E’ al centro del quadro, fermo in piedi, nerovestito. Ha appena camminato per un pezzetto di strada fuori del suo castello e aspetta che lo scudiero gli porti il cavallo con gli ultimi accessori dell’ armatura. Poi salirà in groppa, e via.

Lo scudiero sta infatti sbucando da sinistra seduto in groppa; la lancia a mano, l’ elmo del  padrone infilato in testa – mossa scherzosa del Carpaccio tipica dei poemi cavallereschi dell’ epoca: lui gioca a fare il cavaliere, tutto compìto di se stesso. Il cavallo è di color scuro, messo esattamente di profilo e bardato di nero, come fosse finto. Si direbbe una scena autunnale per gli alberi che perdono le foglie, i ciclamini passi, i colori smorti: la stagione però non è esattamente definita, piuttosto è “immobilizzata” nel senso di fermata nel tempo, come immagine dell’ anno, come località, come situazione. E’ esattamente  quell’ indefinito paesaggio ariostesco “astratto” , paesaggio ideale, paesaggio tipico in cui

“verdeggiar gli arboscelli odoriferi
si puon veder tra i luminosi merli,
ch’ adorni son l’ estate e ‘l verno tutti
di vaghi fiori e di maturi frutti

… di gigli, di amaranti e di gesmini.
…quivi era perpetua la verdura,
perpetua la beltà de’ fiori eterni”.

(Furioso, X,61-63)

Questo clima irreale, ameno e favolesco, contorna bene la situazione temporale del quadro: gli arboscelli, i merli, fiori, gigli e “gesmini”, tutto ciò è contorno alla situazione dei minuti cruciali prima della partenza; minuti di fantasticheria, di reverie, minuti di raccolta delle idee, messa a punto nella memoria degli ultimi pensieri e delle risoluzioni che precedono il momento d’ avvio vero e proprio – quando finalmente il viaggiatore proietterà la propria attenzione al percorso e al futuro nel viaggio. E’ una situazione sospesa in bilico, atemporale. Magica. E’ la situazione della “soglia”, in cui il cavaliere non è più nel suo castello ma al tempo stesso non è ancora partito; è ancora “nel” castello ma è già in viaggio. Questa soglia, questo attimo prima del viaggio è solo un’ immagine, una rincorsa, una vertigine, una nostalgia del pensiero nell’ attimo in cui il cavaliere, immobile, indeciso, sognante è già nel viaggio ma non sta ancora muovendosi.

“Un cavallier, ch’all’ ombra di un boschetto
…sedea pensoso, tacito e soletto

“ Tutto quel giorno e la notte seguente
stette solingo…”

“travagliando la dubbiosa mente,
se partir deve o far quivi soggiorno”

“ … in ripa alla riviera
stando in pensier s’ avea da mutar sella
o tanto soggiornar”

(Furioso, II,35; XL,68; XLII,70)

Il giovane è fuori del castello; fa qualche passo a piedi sul sentiero che lo porterà lontano; guarda per l’ ultima volta il “suo” paesaggio; e sogna. E’ una figura tipica, perfetto ritaglio del momento personale, intimo e privato, di uno di quei cavalieri possenti che compivano gesta veramente notevoli sotto quasi tutti i punti di vista ( specialmente in campo affettivo e marziale, ma anche come esploratori, salvagente, collaudatori, commentatori critici, punzecchiatori e tutori dell’ ordine).

Il fatto curioso di questo quadro è che il paesaggio intorno al cavaliere è come diviso in due scene, due mondi diversi. Mondo di realtà / mondo di finzione. Il viaggio del cavaliere è il viaggio dall’ uno all’ altro, il passaggio dalla realtà alla fantasia, dall’ occidente all’ oriente.

Alle spalle del protagonista, sullo sfondo, sta il passato: il castello con la fontana, le edere sui muri, scene di caccia e di vita quotidiana; una rocca in fondo col villaggio su un colle coltivato a terrazze; animali domestici e di bosco, alberi isolati. L’ albero  determina, col suo spazio, i diversi piani del racconto: ecco che infatti intorno al cavaliere, e davanti a lui, è il paesaggio nuovo, il futuro. C’è appunto un gradino, una soglia, pochi passi indietro al protagonista, che delimita il punto di stacco tra i due mondi, i due diversi piani del quadro. Di là, dove stava prima, ogni cosa aveva un corpo definito, un corpo con un nome che la rappresentava. Qui invece, la vegetazione si pone come simbolo, allegoria; allude ad un mondo metaforico, simbolico. Non ci sono gigli, ma bensì quei fiori bianchi a forma di giglio sono la rappresentazione della “purezza”; non c’è un ermellino, ma il simbolo della “castità”; e così ci sono due fogliettini volanti appoggiati per terra o appesi ad un ramoscello; c’è un fiore rosso simbolo di sensualità nascosta, una fontanella casta. Insomma un agglomerato vegetale esotico, lussureggiante che rappresenta lo stacco dal paesaggio passato, che rappresenta il cambiamento. Dal nobile e violento falcone nero appollaiato sull’ ultimo ramo in alto a destra che si libra nell’ aria, si passa nell’ angolo in basso a sinistra al più schiacciato e sottile ermellino bianco simbolo di purezza. La soglia è rappresentata dall’ unico albero diventato prematuramente spoglio, dal gradino tra i due mondi che il cane marrone non si azzarda a trapassare. Mezzo su e mezzo giù, lui guarda il cavaliere che parte, con occhi trasognanti.

Il protagonista sta piuttosto pensoso; giovane, blasè; lo sguardo lontano e assente: pensa al cammino che lo aspetta, alla distanza forse, ai paesi sconosciuti. Con tutta probabilità – come fa almeno una volta ogni cavaliere del Furioso che sia degno di questo nome – va verso Oriente. Come Sansone e Aquilante

“potuto avrian pigliar la via mancina,
ch’era più dilettevole e più piana,

…ma per la destra andaro orrida e strana
…di Palestina”

(XV, 93)

come Astolfo (XXXIII,98-99), Grifone (XVI,5) o Ruggiero (XLVI, 78-79).

Andare fino da quelle parti, certo, non è poca cosa. Partire per una destinazione così lontana, un itinerario tanto impegnativo, evidentemente crea al nostro eroe qualche scrupolo, un incespicare dell’ entusiasmo, un certo rimorso di coscienza, un dubbio dimesso e tentatore. Non partire? Rimandare? E se poi fosse anche innamorato il nostro giovane cavaliere? I dubbi aumentano. Anche i più grandi paladini di Francia, ricordiamolo a suo onore, se innamorati sospirano e gemono ad ogni partenza

“ …se ne va via solo
pien di sospiri e d’ amoroso duolo
con tal pensier che ‘l cor gli straccia e parte
Rinaldo se ne va verso Levante”.

(Furioso, XLII, 43-45)

Titubante, forse triste, la sua figura si presenta in posa: a fronte; la spada correttamente impugnata con la destra – che sembra abbia appena scavezzato con un fendente nervoso l’ alberello che sta ai suoi piedi, come per prova, per distendere i lineamenti, per esser pronto e deciso a tutti gli effetti – ha un cipiglio piuttosto fermo; rimane in sottofondo quel languore pre-partenza del tutto comprensibile. Come uno dei cavalieri più forti, più baldanzosi, eccolo con tutte le sue arie. Grattando un po’ sotto la sua posa, però, saltano fuori i languori e le paure.

E’ il suo sguardo che ha qualcosa d’ indefinito. E’ proprio lo sguardo del viaggiatore in partenza colto nell’ attimo di esitazione che precede il primo passo. La sua armatura è tirata lucida alla perfezione, scura; il cavallo ben foraggiato; pulito, pronto. Colore da viaggio ha scelto il nero, proprio come Orlando e Rodomonte.

“coperto egli e’l destrier di nero”

“di piastra e maglia, quanto gli bisogna

…portar volse un ornamento nero.”

(Furioso, XVIL,101;VIII,84-85)

Ciò che si lascia alle spalle è un castello con tetti spioventi e merli; con giostre, pavoni, fontane. Partire vuole dire lasciarsi alle spalle il parco rigoglioso con alberi, gigli, cani , falconi, uccelli, lepri, conigli, cervi, dove

“un bel pratel fioria,
di nativo color vago e dipinto,
e di molti e belli arbori distinto”

“e tra i rami
cantando se ne giano i rosignoli

…tra le purpuree rose e i bianchi gigli,
sicuri si vedean lepri e conigli e cervi.”

(Furioso, XXIII, 100; VI, 21-22)

Non è un paesaggio da niente; garbato, dolce, italiano; paesaggio ameno, luogo di casa del cavaliere che qui ha trascorso la sua gioventù. Ma il suo occhio è pensoso. Lui lascia tutto ciò; qui tutto è freschezza, rigoglio, acque chiare, piante, fiori, uccelli; la sua armatura scricchiola oleata con le giunture sciolte; qui il cavaliere è elegante e disinvolto. L’ Oriente invece è secco, torrido, inospitale; duro il clima, ostico il cibo, nemiche le condizioni. L’ occhio del cavaliere pensa già alla sete come ai sassi, all’ arsura come alla fatica. Sole torrido in oriente, certo; e impietoso; l’ armatura nera si riempirà di sabbia, diventerà un forno cocente, insopportabile. Facciamo conto d’ esser in India; nel poema di Ariosto dal castello di Alcina a quello di Logistilla, per esempio, la strada non sarà molta, ma bisognerà attraversare una zona deserta. E sentite un po’:

“Percuote il sol nel colle e fa ritorno:
di sotto bolle il sabbion trito e bianco.
Mancava all’ arme che avea indosso, poco
Ad esser, come già, tutta di fuoco.
Mentre la sete, e de l’ andar fatica

…che sculta avea la sete in su le labbra
tutto pien di sudore il viso afflitto.”

(Furioso, X, 35-36-38)

E’ il deserto d’ oriente. Il cavaliere non sarà fresco e riposato come ora, sarà stravolto dal caldo, rinchiuso nell’ armatura  e stanco come Ruggiero in fuga da un castello all’ altro. Il cavallo non sarà più strigliato; sarà sfinito, pieno di polvere, la bava alla bocca, arsura, sete, mosche.

Il cavaliere è perplesso: perché mai lasciare tutto ciò che dà pace, riposo, vita piacevole ed agiata? Perché mettersi in viaggio a cercar un futuro difficile? Perché lasciare un parco ameno per correr un deserto ostile, selvaggio e pieno di pericoli?

“ Tra i duri sassi e folte spine…

…caldo, la sete e la fatica
ch’era di gir per quella via arenosa.”

(Furioso, VII, 19-21)

Il fatto è che il parco è, sì, bello – ma sta dietro casa. Il lago è sì ameno, ma da quando si è nati lo si conosce. Falchi, cervi, colombi, cani, fiori, alberi: tutto ciò è già dentro di noi; al cavaliere non danno più emozioni di nessun tipo ( tranne poi, quando sarà in viaggio, il ritornarci sopra col pensiero attraverso un luogo che glieli farà ricordare). L’ Oriente invece, è l’ avventura, l’ oriente è la quest, il rischio; l’ oriente è lo sconosciuto, il nuovo, l’ imprevisto, il lontano, il sogno, l’ esotico, lo straordinario, il misterioso, l’ affascinante. Talmente affascinante che bisogna andarci, non c’è scampo. E così il nostro cavaliere lascia il castello pieno di comodità col suo bel giardino ( e ne lascerebbe uno che fosse anche cento volte più bello e più prezioso di questo ) pur di partire, mettersi all’ avventura, all’ inchiesta. Se non lo facesse non si sentirebbe nessuno; se non partisse non si considererebbe meglio delle tre rane che saltellano vicino ai suoi piedi nella pozzetta d’ acqua tiepida.

Partire è la cosa più importante. Partire è tutto. Andare a Oriente per cercare il luogo delle origini. A Est, vecchio cammino verso l’ alba del sole come già facevano i giovani greci che andavano a illustrarsi e morire in Oriente.

E dopo i greci i romani, a oriente verso Bisanzio, e dopo i romani le crociate verso la Palestina, e poi i veneziani fino alla Turchia, gli imperi coloniali in oriente  fino all’ India, alla Cina, all’ Indonesia. Bonaparte a Est in Russia e in Egitto fino ai soldati della guerra di Crimea e ai giovani del Novecento…così i cavalieri dell’ Orlando Furioso, verso oriente,  Guidon Selvaggio, Sacripante, Brandimarte, Zerbino – come tutti loro anche il nostro giovane cavaliere: l’ oriente è la passione di tutti, il viaggio a Est è quello che bisogna fare, meglio se in età giovanile, per costruire il proprio futuro personale alla ricerca del passato: viaggio a Est sul Parallelo, viaggio verso il mattino del mondo.

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