- L’ itinerario del folle in Ariosto
Di nuovo ritroviamo la posizione di Ariosto a cavallo tra aspetti medievali e moderni nella sua concezione della follia. Il folle di Ariosto non è piu’ lo scavezzacollo medievale che si aggirava nella città fino a quando veniva messo sulla soglia della Porta ad aspettare la sua nave; non è ancora, tantomeno, quel povero relitto, scoria della società insieme a sifilitici, atei, omosessuali e vagabondi, da mettere nei lazzaretti, internare nei manicomi o rinchiudere nelle carceri. In Ariosto la follia ha tutt’ altra dignità. La dose antica di fatalismo e accettazione, eredità dei tempi antichi
“ecco il giudicio uman come spesso erra”
(Furioso, I,7)
ci fa avvicinare la rabbia di Orlando a quella di Aiace, anch’ egli “preso in giro”, oppure l’ ossessione furibonda e spenta di Olimpia si avvicina a quella di Filostrato. E’ quel legame che unisce il senso di abbandono dal mondo razionale e ad un tempo fa conservare alla pazzia una sua dignità, un certo rispetto. Il folle, allontanandosi in senso metaforico dalla ragione se ne allontana anche in senso letterale: se ne va, erra, vagabonda
“Vari gli effetti son, ma la pazzia
è tutt’ una però, che li fa uscire.
Gli è come una gran selva, ove la via
conviene a forza, a chi vi va, fallire;
chi su chi giù, chi qua chi là, travia.
(Furioso, XXIV, 1-2)
La follia è un percorso, un itinerario fuori del comune dove chi si perde diventa necessariamente folle. E’ il viaggio che determina la follia, è il percorso che fa uscire di senno, non il contrario. Non ci sono folli che – per il fatto di essere tali – si mettono in viaggio, si incamminano nella selva. E’ chi vaga, chi si incammina ( sulla strada dell’ amore) che diventa folle. E una volta folle, può vagare come Orlando o rinchiudersi come Rodomonte che fa lo stesso.
Pur essendo folli i personaggi non hanno perso la dignità umana; e come hanno percorso il sentiero della follia, così possono ritornare sul sentiero della ragione. Viaggio inverso. Tanto quanto il ritorno di Astolfo dalla Luna segna il ritorno alla ragione di Orlando, così Rodomonte si incammina da solo, e il suo ritorno è avvolto da orgoglio e da fiducia proterva, altera, nobile
” L’ ultimo dì …
di verso la campagna in fretta venne,
contra le mense un cavaliere armato,
Questo era il re d’ Algier, che per lo scorno
Che vi fè sopra il ponte la donzella
Giurato avea di non porsi arma intorno,
né stringer spada, né montare in sella,
finchè non fosse un anno, un mese e un giorno
stato, come eremita, entro una cella.
( Furioso, XVIL, 101-2)
Questa follia introspettiva, trattenuta, è il contrario di quella affannosa che attraversa Orlando; ma in entrambe c’è il dato comune di una dignità e di un senso cavalleresco d’ onore; la loro follia può essere eccessiva o ridicola, far sorridere o stupire, ma non è mai bassa o meschina. Esattamente come don Chisciotte che, pur essendo folle, ha piu’ dignità della ragionevole saggezza di Sancio.
La follia insomma in quel tempo [ ricordiamo che l’ Elogio di Erasmo è del 1511, solo 4 anni prima dell’ Orlando Furioso ] non è vista come un reperto del Manicomio della Salpetrière. Folli o no i personaggi di Ariosto rimangono individui, unici a decidere per se stessi – dei propri itinerari, dei propri percorsi e a giudicarsi da sè.
“Così a quel tempo solean per se stessi
punirsi i cavalier di tali eccessi.”
( Furioso, XVIL, 102)