Nell’ultimo numero di Flash Art (febbraio – marzo 2009) e in particolare nella rubrica Lettere al Direttore c’è un interessante scambio polemico tra un lettore e, per l’appunto, il Direttore Sig. Politi.
Il lettore, ex imprenditore, anziano o comunque non giovanissimo (denuncia 22 anni di attività imprenditoriale alle spalle), ritiratosi a vita privata per seguire la propria vocazione artistica, sostanzialmente lamenta una deriva mercato-centrica dell’arte, che nulla ha a che fare con l’arte in sé. Il Sig. Politi, di risposta, ricorda come e quanto l’arte sia sempre stata legata “al mercato”. Il mecenatismo dei secoli d’oro (il sig. Politi cita Giotto) nacque e si sviluppò presso i centri mercantili più attivi di ciascuna epoca, cosicché si ebbe Firenze, Roma, Mantova, Padova, fino ad arrivare in tempi più recenti a Parigi e New York.
Ora la posizione dell’ex imprenditore, dice il Sig. Politi, è tipica di un certo modo di vedere l’arte, dei Bocconiani, degli studenti di Belle Arti, di chi insomma non fa dell’arte la propria professione, degli artisti della domenica, arriva a dire, il Sig. Politi con una punta (?) di mal celato disprezzo.
Ora, è vero: la posizione del signor imprenditore è comune a molti non professionisti dell’arte e somiglia, per certi versi, a quel che ho detto in altre parti di questo sito. L’arte è pura, dice, e nel dirlo è cosciente, immagino, di quanto questa sia una posizione ideale, idealistica, ideologica, si potrebbe financo dire.
L’arte non è pura, certo. L’arte è fatta da gente che deve campare e possibilmente, alcuni, i più bravi o fortunati, diventare ricchi con essa e grazie ad essa. Quale è l’artista non ancora acclarato che si sia rifiutato al ritratto (di famiglia e non)? Quanti artisti campano ancora sulla capacità di mettersi in competizione (e vincere) con la macchina fotografica? Tanti. E, per converso, tutta questa fortuna della fotografia come forma d’arte non deriva anch’essa, almeno un poco, da questo necessario “sporcarsi le mani” per seguire ciò che il pubblico meglio capisce?
L’arte non è pura, ma è. Su questo spero, promitto e iuro anche il Sig. Politi è sicuramente d’accordo e quel che denunciano alcuni, tra i quali per certi versi il sottoscritto, sta nell’apparente supremazia che anche in campo artistico la comunicazione, il farsi vedere, l’apparire, la costruzione del personaggio mediatico sembra avere su ciò che l’arte è, sulla cosa artistica, sul quadro, sul pennello, sul computer, sulle idee e sulla loro realizzazione.
Perché se l’arte è qualcosa, certamente si converrà che è “realizzazione”, è un farsi, un toccarsi, un esistere, prima e a prescindere dalla parola detta, dalla comunicazione orale.
L’arte è nata per superare (o, se si vuole, essere di complemento alla ..) la comunicazione orale, il racconto al caminetto, la chiacchiera da bar. L’arte è libro, l’arte è quadro, l’arte è installazione, mentre quel che a volte appare è che tutto il necessario e faticosissimo lavoro e lavorio dei galleristi, dei collezinisti, dei mercanti d’arte abbia il sopravvento sugli artisti, su coloro i quali, necessitati, creano anche e soprattutto a prescindere dal riconoscimento economico, dalla quantificazione numeraria, le opere d’arte.
Mentre un attore senza un pubblico, senza un riconoscimento immediato, è solo un poveretto che vive una situazione, speriamo per lui, momentanea di disagio e schizofrenia, un artista campa e vegeta anche senza pubblico, solo della sua pulsione artistica, che ha natura ed origine psicologica che prescinde dal riconoscimento, monetario e non, altrui.
Se è vero come è vero che i grandi artisti, il sig. Politi cita Giotto, hanno sempre avuto “bottega”, aiutanti, assistenti, è altrettanto vero che ugualmente grandi artisti hanno seguito strade più riparate, più raccolte, più intime e questo loro perseguire un’arte che fosse innanzi tutto la loro arte non ha influito per niente sulla qualità, consistenza, materialità, grandezza, valore delle loro opere artistiche. Quanti? Tanti.
Questo si denuncia, non altro.