A Maurizio.

Ritornello

Me lo dici e me lo ripeti
me lo dici e me lo ripeti
ogni volta
ogni volta
ogni volta che ci si vede
ogni volta che ci si parla
ogni volta
ogni volta
il nostro amico è morto
il nostro amico è morto
e anche noi moriremo
noi moriremo.

Bisogna vivere. Subito. Adesso.
Bisogna vivere. Subito. Adesso.

La liturgia del ritornello
che scaramantica in te allontana
evidentemente
l’ansia che ci porge oggi la mano
in me ha l’effetto contrario
e la scopre, la ricorda, l’accende,
lei la giocatrice di scacchi
lei l’invincibile
lei che finge falso pudore
inchinandosi graziosa di lato
e ci mostra l’amico nostro, Diego,
che s’alza dal letto, tutto avvolto
nudo nel telo e ancora sorride
in tono minore
di qualche comune cazzata
(tre uomini della nostra esperienza)
(due uomini della nostra esperienza)
Lui che sapeva (e vedeva)
E che ora non c’è, più,
lo so, lo sapevo, lo vedo,
senza che tu lo ripeta
e lei richiude di colpo il sipario
e la mente si annebbia
e lui sparisce di nuovo.

Male. Silenzio.

Me lo dici e me lo ripeti
e tu me lo dici e me lo ripeti
ogni volta
ogni volta
ogni volta che ci si vede
ogni volta che ci si parla
ogni volta
ogni volta
che io voglia o non voglia
il nostro amico è morto
il nostro amico è morto.

Coazione a ripetere

Rintoccare, rintocco, ripetersi
ripetizione, continuità, pendolo
periodo,
anni di entrate e d’uscite,
mattine, sere,
ogni mattina, ogni sera,
ogni volta
ogni volta
presentarsi all’appello
ogni mattina ed ogni sera,
rintocco, campana, orario, sveglia,
e guardare il male negl’occhi
quello senza nome, l’assurdo
quello che accade, la scommessa di Dio,
quella che il diavolo inventò e
Lui concesse, per la prova,
per metterci alla prova, il male,
quello che ci mangia di dentro
ed ogni mattina
ogni mattina
trovare la calma e la voglia

perduta

per stargli di fronte, di fronte,
e mettergli le mani di dentro
e tirarlo, strapparlo, bruciarlo
tagliarlo, tagliare via il pezzo
che tira, che strappa, che brucia,

nella coscienza, nella buona coscienza,
luce e temperatura costante, serra
dove i fiori sappiamo fioriscono,
luce costante che dice

sussurra

ciò che è male e ciò che è bene
ciò che non va e ciò che va
quel che non dovrebbe essere lì
e non solo

pericoloso, pericolo, mortale

non brufolo, non macchia, non polvere
ma cosa che cresce col tempo
e va tolto

subito
subito

prima che cresca
gramigna in giardino
infestante sul prato
pianta che all’ulivo s’avvolge
e lo spreme fino a stoppare
il filare lento dell’olio.

Ogni mattina. Ogni sera.

E se dubbi compaiono
se ciò che si vede non sembra
ciò che dovrebbe
(o non dovrebbe)
cercare certezze, voci, notizie
nel già visto e udito,
chiedere ad altri
leggere, frugare

che questo siam noi
gente legata l’un l’altro
come canestri di paglia.

e al miracolo
noi non si crede se non come
disperazione da animali morenti.

Tutto va bene

Ripetersi ancora e ancora una volta
e ancora chiedere e richiedere ancora
se la vita sia questa
se questo sia quanto è buono e giusto
e dirsi di sì, che tutto va bene
e dormire tranquillo la notte
sereno, tranquillo, disteso,
tra moglie, figlio e parenti
per poi d’un tratto scartare

nel sonno

sfuggire, scappare, emigrare,
spiaggia, vacanza, dormire

e svegliarsi, di notte
e aspettare
fino a che la vasca si svuoti e l’acqua
pian piano defluisca di sotto pian piano.

Risposta

Ripetere e ripetere ancora
ripetersi che a tutto c’è un senso
e il non senso è già di per sé
la risposta, animale ferito
che si posa al riparo ed aspetta

di tornare a volare fino a che l’ala
non sia salva, fino a che la forza
non torni, fino al punto che noi
torniamo ad essere noi senza incertezze
nella luce e temperature costanti
che nelle serre permette ai fiori
fiorire, sapendo, di nuovo,
ciò che è male e ciò che è bene,
di nuovo, ancora, ripetersi,
ciclo vitale, ritorno senza speranza,
eterno (per me) rintocco di raggio
di sole che apre giornata
all’imbarazzante bellezza
d’un cielo compatto e denso e luminoso
viso senza rughe né ombre
ragazza che ride e con altre si stringe.

Conclusione

E me lo dici e me lo ripeti
ed io vedendo le immagini
scorrere di morti e defunti
mi chiedo se tu non abbia
clamorosamente
ragione
che non c’è modo o maniera
per credere che d’ognuno sia mantenuta
la traccia
che esista posto o maniera
per contenere ognuno di noi
nel prima e nel dopo
in coloro che vennero e che verranno
e ciò nonostante
aggrapparmi
stringendo con forza il nodo che taglia
e resistendo così all’attrazione terrestre
che della leggerezza mia fa
(come è evidente)
peso.

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