Sebastiano Grasso nella Lettura domenicale, inserto culturale del Corriere della Sera di oggi, domenica 10 giugno 2012, recensendo una mostra in corso ad Aosta su Kandinsky e i rapporti Italia e Francia ricorda come per lunghi tratti della sua vita quello che viene ritenuto essere il padre dell’astrattismo abbia dipinto opere che nelle intenzioni erano di derivazione musicale. Variazioni e scherzi spesso ricorrono nei titoli delle opere del russo e le modalità compositive ricordano gli andirivieni virtuosistici dei grandi interpreti del violino o del pianoforte.

Questo mi riporta ovviamente a quanto appena scritto a proposito di Boulez e Klee.

Il linguaggio della musica, pur essendo nella sua struttura, come si diceva, molto più vicino alla scrittura, alla letteratura che alla pittura, ciò nonostante da sempre ha stimolato pittori e poeti.

I suoni contengono immagini. Francamente non saprei dire, non essendo musicista, se vale anche il contrario.

Da bambino disegnavo cavalli imbizzariti e fiamme lunghe e tempestose quando i miei genitori mi costringevano ad ascoltare, cosa che era tutt’altro che una pena, la quinta di Beethoven. Più in là la piccola musica notturna mi ha ispirato un quadretto, così come spesso Bach accompagna la mia mano nel dipingere.

Le immagini contenute nella musica sono spesso particolari del discorso musicale o, più spesso, analogie suscitate da quello stesso.

Klee e Kandinsky, invece, hanno cercato di rifondare la pittura seguendo in parte anche la grammatica musicale. Linee, punti e superfici, così come le lezioni di Klee sulle relazioni tra una linea (e la sua forma, spessore, forza) e le superfici con cui entra in contatto tentano di identificare ogni elemento del disegno prima e della pittura dopo come un elemento primario alla stessa maniera di note e accordi.

Quel filone di ricerca oggi si può dire esaurito? nei fatti sì. nessuno dei grandi (ma pochi anche dei piccoli) segue più quella strada, essendo tutti concentrati nell’ironia, nell’autoreferenzalità, nella teatralità e nella meraviglia. Siamo in epoca barocca e il chiaro e lo scuro (e le risate, i ghigni, la satira e il grottesco) sono molto più interessanti dello svolgimento di un linguaggio, della creazione di un linguaggio, nello sviluppo ed approfondimento di lemmi e significati pittorici.

Lo spazio, elemento costitutivo della pittura, non interessa più nessuno. la sua costruzione la si dà per acquisita, esistente, fuori dalla pittura, suo involucro naturale, al pari di qualsiasi altra opera di ingegno, architettura, in primis o scultura o altro.

In questo, nell’abbandono di una ricerca spaziale, da un certo punto di vista l’attuale pittura si è ri-avvicinata alla musica, con l’assoluta ed essenziale differenza che, come detto, la musica per propria natura prescinde dallo spazio, ma si espande e cura e approfondisce e studia solo il tempo e le sue infinte variazioni e il suo espandersi, mentre la pittura, anche quando abbandona lo spazio o lo dà per già definito comunque si pone e ricerca l’a-temporale il diacronico, ciò che resta nel tempo, fermato nella propria essenzialità: l’immagine.

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