Alcuni mi suggeriscono di abbandonare ogni forma di racconto nel quadro e di lasciare fluttuare il colore, o, se vogliamo, lasciare che sia solo il colore a raccontare.

Non so decidermi: la sola idea equivale nel mio sentire a quella di una amputazione, molto più simile a taglio della coda in alcune specie canine che alla asportazione delle tonsille o della appendice negli umani.

Intendo, con questo, che il racconto è pittura, è una sua parte essenziale, non solo e non tanto che ne completa il profilo, quanto che ne innerva la massa muscolare.

Senza racconto la pittura è massa, al quale, si sa, spesso ha un suo fascino preciso, a tratti decisamente accattivante, ma in questo e per questo molto più vicina alla roccia che alla vita.

E ciò nonostante l’idea di costituire solo col colore un racconto, di far sì che i toni e le frapposizioni coloristiche siano esse stesse la grammatica e l’ortografia del racconto ha indubbiamente un suo richiamo.

In qualche modo, in parte, questo è già quanto faccio, avendo colorato le linee e spesso avendole inspessite tanto da avvicinarsi, nella loro funzione esplicativa, a campi di colore.

Vedremo, vedremo.

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