“ I quadri devono essere miracolosi: non appena uno è terminato, l’intimità tra la creazione e il creatore è finita. Questi diventa uno spettatore. Il quadro deve essere per lui, come per chiunque altro ne farà esperienza più tardi, una rivelazione, una risoluzione inattesa, inaudita, di un bisogno eternamente familiare “. Mark Rothko 1947
Mi sono appassionato a Rothko non molto tempo fa, dopo aver letto dei suoi testi, dove appunto la “spiritualità” prevale sulla materia che pure, col colore, è protagonista assoluta della sua arte.
Quando ho visitato la sala a lui dedicata nella Tate Modern effettivamente ho avvertito un coinvolgimento emotivo di grande forza.
anche a me Rothko per un po’ è sembrato un furbastro che molto doveva a Malevic. Poi ho visto alcune sue opere dal vivo e (a proposito di aura) mi ha rapito. l’idea poi di lui seduto a giardinetti la sera stravolto dopo una giornata di lavoro che parla di pittura mi ha commosso.
l’empatia che trasuda dalle opere di Rothko ci raggiunge senza filtri, complice anche il messaggio autodistruttivo e depressivo che si rintraccia progressivamente al suo percorso evolutivo di artista e quindi di uomo: non è casuale il suicidio, la sua resa finale alla sofferenza di vivere. Come accade per altri protagonisti dell’espressionismo astratto americano, Gorkj si impicca, Pollock si schianta in auto, Kline si autodistrugge con l’alcolo, Rothko si taglia le vene…….
Eminenti psichiatri quali Joseph Schildkraut, Arnold Ludwig, Felix Post hanno compiuto specifici studi sui pittori di questo movimento proprio per la frequenza delle pulsioni suicidarie, spia di un rapporto tra attività artistica e disagio psichico probabilmente patologico (forse in qualche modo legato all’attività dopaminica).
a me personalmente il messaggio autodistruttivo di Rothko non era mai arrivato. in schiele sì. ma in rothko no
Non si può non rilevare attraverso i quadri di Rothko l’evoluzione verso il peggio di una situazione psicologica influenzata da un vissuto drammatico e da ricorrenti crisi depressive, lo psichiatra Vittorino Andreoli ne fa un’analisi dettagliata e coinvolgente. Lo stesso Rothko, parlando di un suo quadro (peraltro commissionatogli da un famoso ristorante di Park Avenue), scrive “Le masse cromatiche, porpora e nero e un rosso simile a sangue rappreso emanano un senso quasi tangibile di sciagura”.
Un senso di sciagura che, verso la fine degli anni ’60, gli suggerisce una serie di Untitled (i ‘Black on Grey’) in cui la pennellata si raggela in tratti compassati ed opachi neri e grigi, in una disposizione molto alterata rispetto alle opere precedenti, con rigide fasce orizzontali a blocchi di colore talvolta racchiuse da una secca bordatura scura al bordo dell’immagine.
Rothko prende sempre più le distanze dal cromatismo decorativistico degli anni ’50 e, soprattutto, dal mondo e dalla vita, che con coerenza estrema, decide di abbandonare.
La tragedia era comunque annunciata.