Le avanguardie del novecento, ovvero per quelli della mia generazione i nostri nonni o bisnonni, da un punto di vista degli atteggiamenti e del modo di interpretare la propria arte ci hanno lasciato due messaggi non presenti nella grande tradizione classica: il pittore sciamano e il pittore clown.

Il pittore sciamano è quello che si immerge nella natura (interiore e/o esteriore), la fa propria, ne diventa l’agente, il profeta, non solo e non tanto l’inteprete, quanto il portavoce, l’anima, l’essenza.  Pensate a Monet e alla sua immersione nella natura. A Seurat e alla sua interpretazione della luce. In questo la professione è stata in bilico per un po’ tra la scienza e la mistica per poi scegliere successivamente in maniera prevalente la seconda.

Il pittore clown è quello che reinventa la realtà, è il pitale di Duchamp, è la sella da bicicletta di Picasso, è molto (tutto?) Cattelan odierno, sono molte delle installazioni che allietano le nostre gallerie d’arte.

tra questi due poli bisogna necessariamente muoversi, saperci giocare, interpretare ora l’una, ora l’altra parte, recitando a soggetto a seconda della serata, dell’umore o di quel che c’è da vedere e far vedere.

La prima è silenzio e ascetismo. La seconda baccano e festa. Sberleffo o mistero. l’aura o semplicemente laura.

Ci sono  e ci sono stati tra i contemporanei artisti che si sono chiusi nei deserti del messico a dipingere tele monocromatiche cadendo nella tranche del gesto e ci sono e ci sono stati artisti che hanno fatto dell’esplosione barocca, dello stupore rococò la loro ragione di vita.

Noi? Nel mezzo, no?

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