Voltaire se ne sarebbe compiaciuto: siamo davvero nel migliore dei mondi possibili.

Chi l’avrebbe mai detto, dopo tanta letteratura e film sulla violenza razzista di quegli anni, che nel 1961 in Virginia ci fosse spazio per tre brillanti menti matematiche nere? Nessuno, io credo, tant’è che si assiste al film restando nell’attesa, delusa, della fregatura finale, quella che disillude, quasi che quella a cui stiamo assistendo fosse la favola bella che ieri m’illuse e che oggi ancora ci illude, quella appunto d’essere nel migliore dei mondi possibili. E invece le tre, ci si dice, ebbero una vita felice e fortunata ricevendo ogni onore sia in vita che post mortem. Bello, no?

E già perché da quel che vediamo nel 1961 in Virginia la comunità nera senza diritti, con autobus segregati, cessi segregati, biblioteche segregate, quartieri, ovvio, segregati, se la cavava benino, anzi bene, direi, con belle case, bei vestiti e una dignità umana al di sopra d’ogni tentazione.

Loro, le tre, che della comunità sono la punta d’eccellenza, lavorano per la Nasa e fanno parte di un gruppo di nere che oggi avremmo chiamato “lavoratrici a progetto”. La Nasa le stipendia perché siano a disposizione e tappino i buchi organizzativi. Fino a quando una delle tre, la più dotata, viene chiamata nel gruppo di calcolo delle traiettorie delle navicelle spaziali e in breve tempo e a dispetto delle occhiate sgradevoli dei compagni e delle compagne di lavoro diventa il punto di riferimento dell’ufficio, tanto indispensabile e autonoma che uno si chiede per tutto il tempo cosa facesse quella mandria di maschi bianchi che condividevano con lei il grande open space e che teoricamente qualcosa avrebbero dovuto fare anche loro, si suppone.  Nel frattempo anche le altre due si danno da fare e una diventa la prima laureata nera in ingegneria della storia degli Stati Uniti e l’altra assume la responsabilità di programmare l’enorme calcolatore centrale IBM 7090 che la Nasa ha comprato, ma che non sa assolutamente adoperare.

La vicenda del calcolatore è uno degli elementi più comici del film. La Nasa vagamente conscia del problema attrezza per tempo una grande stanza dove alloggiare il bestione. Peccato che nessuno avesse avvertito che ciascun elemento della bestia era tanto grosso da non passare dalla porta che a quel punto deve essere di fretta e furia demolita per poter fare entrare il 7090 dell’IBM (IBM chi? domanda uno – e già siamo nel 1961) (fra poco saremo tornati lì e i ragazzi di oggi domani domanderanno “IBM chi?”).

Una volta dentro nessuno sa neanche farlo partire e le mirabolanti 24.000 operazioni al secondo che la macchina potrebbe eseguire rimangono nascoste dietro la lamiera, fino a quando una delle tre che ha fregato un testo di Fortran in una biblioteca in cui non avrebbe potuto entrare (ma ci è entrata) studia, studia e riesce a far partire il bestione che le ubbidisce come un cagnolino. Stupore. Meraviglia. Una nera calcola i punti di ammaraggio, una collabora alla progettazione delle capsule e una fa andare avanti un elaboratore di calcolo grosso come una porta-aerei? dove siamo se non nel migliore dei mondi possibili?

Si esce rassicurati, nell’animo e nello spirito. Il mondo non è cattivo, non è tutto cattivo. Il merito viene sempre riconosciuto e il colore della pelle non conta.

Bene, no?

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