Ad una settimana dallo scorso intervento, riprendo l’argomento dando conto innanzi tutto della riflessione settimanale: probabilmente ciò che mi ha spinto a questa analisi, a questo studio, è una profonda invidia. Simenon amante di più di diecimila donne diverse in vita sua. E perbacco! Ma ciò che stupisce è la distanza psicologica (apparente, forse) tra questo vissuto di turbolenza erotica e la psicologia del suo personaggio più noto Maigret. Io sono, come molti, un tifoso di Maigret, del Maigret di Gino Cervi, del Maigret bonario che nota certo una scollatura, una coscia, una avvenenza, ma mai e poi mai cede a nessun altro desiderio che non sia una buona birra. D’altronde che i veri scrittori sappiano mettere a volte un oceano tra il proprio sé e il proprio lavoro è dimostrato a contraris dal nostro Camilleri che a 32 anni sposa la signora Rosetta, ne ha numerosa prole,: nonostante il successo incredibile e l’aver operato per decenni nel mirabolante mondo televisivo sulla coppia non è mai volata la più piccola licenza o pettegolezzo. E ciò nonostante il suo personaggio più noto, Moltalbano sono, non è femminaro come il suo vice Mimì Augello, ma in ogni caso quando gli si offre l’occasione non si sottrae a trarre piacere dalle femmine che di tanto in tanto gli si offrono (pur rimanendo sempre fidanzato con la lontana Livia).

Ma torniamo a Maigret e a questa mia esplorazione del suo universo femminile.

La trappola di Maigret è il racconto di un assassino seriale che d’un tratto uccide, a distanza di un mese circa l’una dall’altra, cinque donne corpulente tutte nello stesso quartiere e tutte tra loro, ovvio, sconosciute. La tecnica è la stessa. I delitti pur non essendo accompagnati da atti dichiaratamente sessuali sono a chiara matrice sessuale.
Qui le protagoniste sono due: la madre e la moglie dell’assassino, la prima che ha educato il figlio, unico, ovviamente, nel disprezzo del padre (macellaio) e nell’orrore delle donnacce che frequentano quel quartiere. Montmartre. Si badi bene che le vittime non erano prostitute, ma donne che lavoravano, non signore borghesi, ma neanche, per l’appunto, puttane. La seconda, la moglie, ne ha accettato le debolezze, l’ha amato, protetto, rispettato fino ad immolarsi per lui nel tentativo, goffo, di convincere il commissario dell’innocenza del marito. Uccide, infatti, a sua volta, mentre il marito è in carcere, convinta che questo possa riaprire le indagini già chiuse. Le due donne ovviamente non sono complici, ma anzi avversarie, acerrime nemiche nel conquistare e mantenere il controllo dell’uomo che amano sopra ogni cosa: il figlio e il marito. Vincerà la moglie, quindi, come spesso accade nella vita comune, non foss’altro che per ragioni di basso utilitarismo maschile e di ovvia speranza di vita. Qui la moglie vince, dicevo, sacrificandosi nel tentativo stupido di salvare il marito, ma nelle sottili parole che accompagnano il racconto c’è anche il sospetto, l’idea che il sacrificio nasca dal voler cogliere l’attimo, la suprema occasione per la vittoria finale contro la suocera. Tutte e due si autoaccusano del nuovo omocidio, anzi per prima la madre, isterica, che grida e ordina a Maigret di arrestarla. Gelosa rivendica il gesto una colta capito che per il figlio comunque non ci sarebbe stata possibilità e che per lui le porte del carcere rimarranno chiuse. Solo che non è stata lei. Le mancano particolari e ricordi. Solo allora la moglie confessa e così facendo vince sull’odiata rivale “in amore”. Quanto sono aggressive e competitive le donne in amore, sembra quasi chiedersi Simenon.

Alla prossima puntata….

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