Detto così fa ridere: Moliere è un tale gigante che anche il grande Bulgakov al confronto impallidisce e si inchina. E al contempo proporre un confronto così è come avvicinare un cantante ad un attore: entrambi calcano le scene, ma con scopi e interessi completamente diversi.

E quindi perché? Perché al Piccolo di Milano sono in corso le recite di Cuore di Cane, testo tratto dal romanzo di Bulgakov, e del Don Giovanni di Moliere.

Ebbene: Bulgakov sbaraglia Moliere.

Mentre il testo tratto da Cuore di Cane è essenziale, ottimamente recitato, con scenografie efficaci e non fa pesare le due ore abbondanti di spettacolo, il Don Giovanni, portato ancora una volta al moderno (o simil tale) non convince, non si capisce, annoia pure un po’.

La colpa ovviamente non è degli attori che anche in Moliere hanno l’aria di essere ottimi professionisti.

E’ che cercare di far passare. come fa il regista Binasco, per il tramite del testo del grande francese l’idea che i don giovanni di questo mondo non siano altro che dei bulimici di vita, di avventure, di libertà è complicato, se non impossibile, per la semplice ragione che quel testo è fatto d’altro. E’ fatto anche e soprattutto di ribellione alle consuetudini e ai cliché sociali, di eroismo nel farsi paladino di una idea, di furfanteria nello sfruttamento delle differenze sociali, tanto che, per esempio, far vestire Don Giovanni esattamente come vestono le contadine che lui circuisce, farlo parlare più o meno come loro, salvo una maggiore facondia, non aiuta a capirne il fenomeno. E’ Don Giovanni qualsiasi truffatore moderno o antico, certo, ma costoro, i truffatori, sfruttano le debolezze psicologiche dei truffati, ne utilizzano gli schemi mentali, all’interno dei quali, ancora oggi, forte è la presunzione che chi veste con cura ed eleganza e si esprime con un linguaggio ricercato sia “meglio” dei transandati, dei poveri, degli ignoranti. Nel Don Giovanni scenico l’unico trucco è la promessa di matrimonio. E anche in questo caso: se non si sottolinea in qualche modo quanto fosse devastante da un punto di vista sociale per una ragazza la perdita della verginità nel seicento e nel settecento (ma anche per l’ottocento e larga parte del novecento) non si capisce appieno lo scandalo e il terrore che le azioni del traditore provocavano nella tradita e nei suoi familiari.

Al contrario Cuore di Cane è bello, ben recitato e lascia facilmente intendere l’ingenuità e l’onestà di Bulgakov che criticando ferocemente nella prima parte l’ordine borghese e nella seconda quello bolscevico evidentemente sperava che il suo lavoro potesse in qualche modo essere accettato. Invece dal 1927, anno della sua scrittura, sono dovuti passare sessantanni (1987) perché la Russia di Gorbaciov ne permettesse la pubblicazione in patria.

E proprio quelle due critiche contenute nel testo del russo ci fanno riflettere sull’oggi, sulle maschere di Pirandelliana memoria e su come ancora oggi e forse soprattutto oggi ci si debba emancipare da ruoli e costumi sociali, diffidando di chi la fa facile e impone cliché semplificatori.

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