Ridurre un testo di 1.500 pagine in 5 volumi in due ore di spettacolo è opera coraggiosa. Riuscita? Sì.

Riuscita grazie ad una sceneggiatura che segue la storia, ne tratteggia i personaggi principali, abolisce ripensamenti, dubbi, angosce e va diretta al racconto. Riuscita grazie all’invenzione scenica di enormi parallelepipedi ruotanti che con i loro movimenti, aperture e chiusure permettono cambi di scena rapidi ed efficaci. Riuscita grazie ad un ritmo espositivo serrato e ad una compagnia teatrale di dimensioni tali da permettere di ridurre a zero (pressocché) i cambi di costumi. Ben scritta e ben recitata. Chapeau.

I miserabili di Victor Hugo, usciti nel 1862, ebbe in Francia e immediatamente in Europa una fortuna enorme. La storia ai nostri bisnonni e nonni era quindi ben nota. Oggi meno. Il contadino Jean Valjean, condannato a cinque anni nel 1796 per il furto di una pagnotta di pane, dopo vari tentativi di evasione, sempre falliti, esce di prigione nel 1815 a quarantanni suonati ed è un reietto della società. Alla ricerca di un riparo per la notte viene indirizzato a casa del Vescovo Myriel. Al mattino seguente Valjean fugge rubando al Vescovo delle posate d’argento. Ripreso, viene scagionato dal Vescovo stesso che sostiene con la polizia che lui stesso, il Vescovo, aveva donato quelle posate all’ex galeotto. Prima di lasciarlo il Vescovo, ex aristocratico rovinato dalla Rivoluzione, regala a Jean anche due candelabri di argento. Con quel dono, lo avverte, gli ha comprato l’anima al bene. E infatti di lì in avanti Jean Valjean diventa un supereroe della bontà e delle giustizia.

Comprare l’anima al bene. Il contrario di quello che fa il diavolo nel Faust di Goethe. L’anima umana oggetto di compravendita, quasi fosse un gioiello, una casa, una automobile. Una dimensione commerciale dell’etica che cercava in quegli anni di smarcare il bene da una valenza tutta metafisica per far risaltare, immagino, quanto esso avesse (e abbia) una valenza sociale, interpersonale: il bene di ciascuno è il bene di tutti.

Di lì in avanti la storia si sviluppa seguendo le gesta dell’ex galeotto, gesta che si intrecciano con quelle della Francia. I moti del 1832 fanno da cornice alla morte di Valjean e di conseguenza alla fine del romanzo e della storia.

Come dicevo, la macchina teatrale è perfetta, premiata da una interpretazione di Branciaroli, che pur essendo a tratti superficiale e quasi distratta, nel suo insieme colpisce per potenza e intensità.

Vale il biglietto? Sicuramente sì.

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