Francesco Caringella è autore del romanzo da cui è tratto un film con Scamarcio prossimamente nelle sale. Il libro e il film si intitolato Non sono un assassino.

Caringella è magistrato penalista e consigliere di Stato. Intervistato se ne esce con questa affermazione:

“Nei processi non contano i fatti, ma le apparenze. I fatti nessuno li conosce, se non l’assassino e la vittima: solo che il primo non ha interesse a dire la verità, la seconda non può più parlare. Dunque si giudica in base alle apparenze: d’altronde, la verità oggettiva non esiste, è solo la bugia meglio raccontata.”

Ora: su cosa si debba intendere per verità si è dibattuto per secoli e millenni, ma uno dei capisaldi della logica e dell’etica è che essa è il contrario della menzogna, della bugia. La verità che soggettivamente è non tanto inconoscibile, quanto inutile, trova la propria oggettività e utilità nella comunità che la esprime. E le comunità giungono alla verità attraverso un lungo e tortuoso percorso basato sul confronto, confronto di ricordi e di dati raccolti secondo l’oggettivita che la scienza in quel momento permette. Al termine di questo percorso la verità esiste, quanto meno fino all’insorgere di nuovi ricordi o fatti che pongano dubbi o smentiscono quella verità stessa. Ma questa insorgenza non confuta l’esistenza della verità.

Ora che un magistrato al più alto livello dello stato se ne esca con l’affermazione, falsa, che la verità processuale è solo la bugia meglio raccontata fa sì che il sottoscritto non andrà a vedere il film e non leggerà il libro.

Carofiglio, altro magistrato pugliese e scrittore, riflettendo sugli stessi temi sottolineava l’importanza della retorica. Ma questo è tutt’altra cosa da quanto questo nuovo solone ha affermato.

Infine: in che mani è messa la giustizia italiana?

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