L’altra sera siamo andati, io e mia moglie, a vedere Elvis, film con Tom Hanks e Austin Butler, regia di Luhrmann.
Non è il primo film che vediamo di questo genere. A suo tempo avevamo visto Bohemian Rapsody (2018) e Rocketman (2019).
In questa speciale e minima categoria il mio primo posto va a Rocketman, seguito da Bohemian, con questo Elvis buon ultimo.
In realtà non c’è nulla in questo Elvis che non vada, se non, a mia sensibilità, una scarsa o nulla attenzione agli esordi intesi come quel periodo nel quale Elvis da qualche parte avrà pur dovuto provare, tentare, imparare a suonare la chitarra e il pianoforte, e ripetere, ripetere, ripetere prima di fissare il proprio stile. Nel film Elvis nasce di botto, così, dal nulla, dopo aver ascoltato blues e spiritual all’infinito nella sua adolescenza di ragazzo bianco vissuto in un quartiere di neri.
Per questa ragione gli altri due mi sono sembrati più completi e meglio argomentati.
Ovviamente questo dipende dal fatto che il film è anche su Elvis, ma anche sul suo manager e padre-padrone colonnello Tom Parker, interpretato da Tom Hanks. E a questo proposito il film contiene una chicca sulla società americana di quegli anni: Tom Parker, manager di Presley dall’inizio alla fine, firmatario, immaginiamo, di migliaia di contratti in nome e per conto del suo assistito non aveva documenti legali che ne certificassero l’identità. Si faceva chiamare Colonnello, ma non era mai stato in nessuna forza armata. Non era statunitense, ma pare olandese, arrivato negli States non si sa come né quando. Ed era senza documenti, ma ciò nonostante migliaia di avvocati e controparti non ne hanno mai messo in dubbio nulla. E quindi la domanda, assolutamente fuori luogo rispetto al film, è: ma come ci si identifica negli Stati Uniti? Qui se firmi un pezzo di carta di norma ci metti un bel “nato a” il giorno x o y e in più un codice fiscale (che non puoi avere se non hai una carta di identità): là? no?
Tornando al film, ben fatto, con ampi spezzoni dedicati alla storia americana di quel periodo (stupefacente che inizialmente nel Sud degli States Presley fosse osteggiato perchè cantava musica nera e dimenava troppo e in maniera sconcia il bacino) concentrato più sul successo e decadenza di Presley che sugli albori, chiarisce perchè Elvis fosse di casa a Las Vegas: perchè il suo manager era un accanito giocatore indebitato fino al midollo con i casino.
Tentativi di ribellione da parte di Elvis? Sì, ma velleitari. Il manager lo teneva in mano sia da un punto di vista economico che affettivo.
Altra e ultima notazione: il merchandising in America inizia negli anni sessanta. Tom Parker crea ogni genere di oggetto con il nome e la foto di Presley. E per di più, pur inducendolo a non uscire mai dai confini nazionali (visto che lui, Parker, senza documenti non avrebbe potuto accompagnarlo) gli organizza una diretta TV (Aloha from Hawaii) nel 1973 vista da più di un miliardo di persone. Un genio del marketing.
Da vedere? Sì, se vi interessa un pezzo di storia americana e molte (non moltissime) canzoni di Presley. No, se vorreste solo un film sulla vita e sulle canzoni di Elvis.