Preceduta da una critica sul Corriere della Sera non generosa, qualche sera fa siamo andati a vedere Uno sguardo dal ponte di Arthur Miller nella interpretazione di Massimo Popolizio.
Dicevo che la critica del Corriere non mi è parsa generosa. La rappresentazione a me è sembrata ben fatta, molto ben fatta. con un racconto teso, sintetico, ben recitato.
Unico punto debole è l’iniziale recitazione di Gaja Masciale, cui è stato evidentemente imposto sia un tono acuto che ripetuti accucciamenti, posa mai vista assunte da nessuna componente del genere femminile e poco anche da quello maschile.
Per il resto la storia dell’emigrato italiano a New York che non riesce ad accettare che la nipote Catherine sia diventata donna e possa e voglia avere una vita propria è ben interpretata.
Le vicende dei due cugini siciliani entrati illegalmente negli Stati Uniti e ospitati a casa del protagonista, con i loro diversi obiettivi (uno vuole lavorare, risparmiare e tornare in Sicilia da moglie e figli, mentre il secondo, più giovane, negli States vuole rimanere a vivere) è evidentemente molto attuale e ricordare quanto la storia dell’emigrazione illegale sia una parte essenziale di quella che qualcuno ama definire l’etnia italiana.
Una scenografia e una rappresentazione in bianco e nero coerente con quella che è stata definita una tragedia greca scritta ai giorni nostri.
Vale il biglietto.






purtroppo, “etnia” è una traduzione dall’uso ormai diffuso in America e nei paesi anglosassoni in genere di definire tutto ciò che non è anglo-irlandese-tedesco-scandinavo (quindi il ceppo europeo bianco, accettato e considerato parte fondante della società). Ovvio che non ha nulla a che fare con il significato originale che –in modo altrettanto escludente– definisce come etnico tutto ciò che non appartiene a una matrice ebraico-cattolica. Rimane una parola che separa gli aventi diritto dai “non completamente accettati”.