Da Claudio Cherin riceviamo la recensione di questa recente serie su Netflix: Ossessione.


Ossessione ‒ è una miniserie Netflix, diretta da Glenn Leyburn e Lisa Barros D’Sa, tratta dell’omonimo romanzo di Josephine Hart del 1991, già diventato in un film in live-action dalla Warner Bro, nel 1992, con Jeremy Irons e Juliette Binoche ‒ ha un solo e vero protagonista: il personaggio di William. Sua è la lenta caduta verso l’abisso.


William Farrow, interpretato da Richard Armitage, è un chirurgo di successo che sembra avere una vita perfetta: è sposato con la brillante Ingrid (Indira Varma) ed è padre di due figli, Jay (Rish Shah) e Sally (Sonera Angel).

La sua vita viene, però, completamente stravolta dall’incontro con Anna Barton (Charlie Murphy), la fidanzata del figlio, con cui intreccia una relazione ‘proibita’. Che lo porterà presto a perdere tutto quello che ha costruito, dando sfogo a una passione che lo condurrà alla deriva.

La ragazza ha un passato complicato, di cui si scopriranno alcuni segreti tramite le confidenze con la migliore amica Peggy (Pippa Bennett-Warner) e la madre Elizabeth (Marion Bailey).

La passione che contraddistingue il legame tra William e Anna ha, come prevedibile, delle conseguenze drammatiche sulla famiglia del chirurgo. Come suggerisce il titolo, la miniserie si concentra su un’ossessione che prende il controllo, fisico e psicologico, di William, che scivola in un tunnel erotico che prova a controllare, senza però riuscire a prevedere il danno che avrà sulla sua (e quella dei suoi familiari) vita.

I quattro episodi, di cui è composta la serie, approfondiscono la vita di William, ma non provano a dare delle giustificazioni ai comportamenti. Gli sceneggiatori, che sembrano perdere progressivamente le briglie della narrazione nel capitolo conclusivo, in realtà, rappresentano con lucidità la quieta disperazione di un’ossessione che travolge e consuma il protagonista, portandolo a un isolamento progressivo. E, alla fine, al vivere una vita futura all’ombra di un evento così forte che lo ha completamente posseduto.

Richard Armitage, attore di un certo rilievo, ha lavorato ne Lo hobbit di Peter Jackson, riesce a rendere William un personaggio per cui provare empatia. La sua interpretazione è totalmente focalizzata sull’ossessione; questo lo rende una figura animata solo dal proprio istinto, in contrasto fin troppo netto con la razionalità richiesta dalla sua professione. È un eroe tragico costretto a trovarsi nelle spire di quell’irrazionalità, che con la chirurgia ‒ disciplina esatta e razionale ‒ ha esorcizzato.

A caratterizzare la storia emotiva dei due amanti non sono solo le scene erotiche, ma sono soprattutto gli sguardi, attraverso i quali passa tutta la tensione che caratterizza la relazione di William e Anna. Armitage, che è il centro della storia, fa emergere il suo talento drammatico in più di un momento. Al suo fianco c’è Charlie Murphy che rendere la protagonista una figura carismatica in grado, di mantenere alta l’attenzione degli spettatori.

I due attori riescono a rendere credibile la bruciante passione grazie alla fotografia e alle scelte compiute dagli scenografi, che hanno costruito degli spazi che rappresentano i contrasti in cui si muovono i protagonisti.

La miniserie non giustifica mai i comportamenti di William, la scelta di iniziare la relazione clandestina, il suo desiderio tossico di possedere e controllare Anna. William è un padre senza alcuna possibilità di redenzione. Anche il personaggio di Anna si allontana dagli stereotipi femminili della femme fatale.

Lloyd-Malcom e Walters, gli sceneggiatori, hanno creato un passato per Anna che dovrebbe giustificarne le motivazioni e il desiderio di avere un potere psicologico sul suo amante, mostrando la giovane mentre divide in modo quasi netto amore e passione fisica, razionalità ed emozioni. Le rivelazioni drammatiche che delineano il quadro psicologico di Anna funzionano, e, pur risultando un personaggio intrigante e carismatico, la breve durata del progetto rende la sua relazione con il suo fidanzato Jay poco incisiva. Come poco incisivi sono i suoi rapporti umani, con la sua migliore amica o la madre.

Unica pecca: gli sceneggiatori non approfondiscono, il personaggio di Ingrid, nonostante la bravura di Indira Varma, che appare fin troppo ingenua nel non rendersi conto del lato oscuro di suo marito William.

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