Il Sig. Chipperfield è un architetto inglese famoso in patria, immagino, come da noi Renzo Piano.

Qualche giorno fa Repubblica ha pubblicato alcuni suoi pensieri,  che mi hanno riflettere. Pur parlando di architettura, in realtà credo abbiamo molto a che fare con l’arte in generale.

Eccole. In grassetto ho segnato i punti che poi ho ripreso.

“Potenza del non finito! Basterebbe guardare la Bank of England di John Soane, nella pittura di Gandy, per comprendere quanto un edificio in corso di costruzione sia tattile, corporoneo, ben più di quanto non lo sia portato a termine.  Le rovine hanno la stessa potenza del non finito, perché conservano qualcosa di autentico. …..

Altra domanda: quale estetica? L’ambizione, allora, non è sottolineare la memoria della distruzione, ma anche raggiungere un ottimo risultato visivo: ridare chiarezza all’edificio. E tale chiarezza passa attraverso l‘autenticità, che per me ha qualcosa di sacro. Per questo non posso fare un facsimile della storia. Però, non voglio neppure rompere con essa. Carlo Scarpa, il maestro italiano che ha restaurato tra l’altro il museo di Castelvecchio a Verona, enfattizzava il contrasto vecchio-nuovo. Io vorrei invece che gli elementi scorressero l’uno sull’altro. Poi,  la ricostruzione dei volumi e delle forme, il rispetto della storia non devono abdicare a una autentica contemporaneità del linguaggio architettonico. Si tratta invece si ricostruire le forme del passato per reiniettare significato, ma senza fingere. E’ una strategia detta del soft repairing…….”

Non finito: il non finito, quando non è fretta, frettolosità, ma una precisa scelta artistica ha una potenza evocativa notevole. Si pensi all’ultimo Tiziano, quando i segni e i contorni si sono fatti sfumati, tentennanti, assenti spesso e poi di nuovo presenti, presentissimi.

tiziano

Le rovine:  proseguendo nella logica del non finito, da un lato, e aprendo la porta ai neo-dadaismi quante rovine sono state usate in arte? Tutta l’arte povera è utilizzo di rovine, di cose che avendo perso, in tutto o in parte, la loro funzionalità hanno mantenuto di sé solo il ricordo, di nuovo, la potenza evocativa. Rispetto al non finito che è sempre progettualità sfumata, sosta, pausa nel processo creativo, le rovine evocano, ricordano, sono miniere di senso e significati. Per certi versi l’uso di inserzioni fotografiche in pittura o di oggettistica varia si riconduce a questa potenzialità, ne richiamana la fisiologia. Da un certo punto di vista i sacchi di Burri sono rovine, gli squali di Hirst, i palloni da basket di Koons sono rovine.

Autentico: quanta finzione e ipocrisia intorno a questo termine, come se autentico in arte (o nella morale, nella politica, in ogni ambito sociale) fosse un concetto capace di produrre qualcosa che non sia sempre e comunque reazione. Autentico è naturale. Autentico è ricerca dei materiali. Autentico è……. Cosa significa autentico? Proprio di se stesso? Essenziale? Vero? Non finto? Ma l’arte e la conoscenza non sono per loro natura un furto? Non è forse vero che noi siamo pigmei seduti sulle spalle di giganti? Non stiamo sempre e comunque rubando la loro altezza, sfruttandola, la loro, non la nostra, e quindi, se così è, cosa significa autentico?

Chiarezza: questo credo sia un valore del nostro tempo, uno di quelli che Calvino avrebbe potuto far rientrare nelle sue famose lezioni americane. Bisogna essere chiari, diretti, puliti. I rimandi e le citazioni devono essere parte di noi, parte essenziale dell’opera, ma senza ammiccamenti o strizzate d’occhio: chiaramente.

Contemporaneità del linguaggio: la parte finale della mia breve citazione di Chipperfield è un programma architettonico che ho l’impressione potrebbe essere assolutamente e completamente, con rigore e senza cambiamenti, essere adottato dalla pittura. Noi per forza siamo tradizione e la nostra forza sta nel reiniettare senso, nel far sì che chi ci ha preceduto porti ancora frutto, attraverso noi, frutto nuovo, diverso, contemporaneo, ma sempre figlio della stessa pianta.

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