Sempre domenica proseguendo dopo lo splendore dell’Ambrosiana, siamo andati a Palazzo Reale a visitare la mostra sull’arte a Milano negli anni 70.
La mostra è interessante e fa davvero rivivere quegli anni, quei fermenti.
Da un punto di vista pittorico i quadri di Tadini restano, ma quegli anni furono anni di poca pittura e di molta arte diversa, pensata, recitata, detta, fotografata.
La cosa più diverente è l’autobiografia di Emilio Isgrò, fogli dattiloscritti (oggi chi ha ancora ed usa una macchina da scrivere in casa propria o in ufficio? quanto poco basta per finire nell’antiquariato fantastico di oggetti che i nostri figli guardano come noi guardiamo le carrozze, i fanali a gas e la ghigliottina?), ognuno con una breve frase che descrive ciò che era, ma che soprattutto non era Emilio Isgrò. Spesso sono negazioni: Emilio Isgrò non era questo o quello. Troppo magro. Troppo grasso. Con la barba. Senza barba e i supposti mittenti o sono parenti e amici di Isgrò o sono personaggi celebri. Per tutti il brevissimo resoconto termina con una bella firma a penna stilografica, blu o nera.
Così si vengono a sapere di questo ipotetico signor Emilio le cose più strane, ma soprattutto ci si viene convincendo che non sia mai esistito, fino alla denuncia finale di Emilio Isgrò stesso che nega, in data 1971, di essere se stesso.
Proprio divertente. D’altronde a Emilio un certo gusto per la dissacrazione e la provocazione è rimasto ancora oggi se è vero, come è vero, che oggi il suo fare artistico consta di “cancellazioni”: cancella la Costituzione. Cancella l’Italia. Cancella. Nega, come se nella negazione dell’esistenza stesse il suo unico rifugio. Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo, ovviamente rieccheggia, ma sempre con una bella risata o tutt’al più un sorriso indulgente.
Il resto sono foto di quegli anni, di una Milano che frizzava, come una acqua minerale. Bella, intelligente, viva, come in parte, forse, Milano sta tornando.