Presso la galleria Bottegantica di Milano dal 25 ottobre al 21 dicembre sono in mostra alcuni dipinti di pittori italiani a cavallo del secolo.
Boldini, De Nittis, Zandomeneghi, per lunga tratta ho pensato con fastidio a questa Italia provinciale che mentre gli altri inventavano l’impressionismo, il cubismo, il dada ( e da noi il sommo futurismo) e tutte le altre diavolerie moderne che costituiscono l’ossatura della nostra cultura figurativa, lei, l’Italia, questi pittori, pur dotati di grande tecnica e capacità espressiva, si arabbattavano in un erotismo onanista, in una pittura molto debitrice dell’illustrazione e del rotocalco e poco della pittura, della vera pittura.
Mò che si invecchia, di alcuni (Zandomeneghi in primis) apprezzo le assonanze con qualche francese, la tensione tecnica mai banale, il gusto della contaminazione stilistica e della citazione, come dire, non è che fossimo così distratti e fuori dal mondo noi italiani in quegli anni: è che tutti teniamo famiglia e la contessa Casati (di un celebre dipinto di Boldini) non avrebbe pagato ciò che pagò per un ritratto cubista, per una sfarinatura di colori e di toni da non riconoscerne più le fattezze. Il massimo cui si poteva spingere era citare nel vestito e nello sfondo un vortice futurista. Ma per citare bisogna aver visto e osservato e studiato e questi autori cribbio se avevano visto, osservato, studiato.
Di qui un orgoglio tutto italiota che pur riconoscendo che nessuno di loro vale neppure un Pissarro (che pure per me tra i grandi è uno dei minori) embè insomma colore, tecnica e inventiva non mancava loro. Bene, no?
Non sono d’accordo col “provincialismo” i tre artisti citati anzi sono stati quello che più di tutti si sono internazionalizzati. De Nittis e Zandomenighi sono stati a Parigi, e De Nittis da Barletta ha raggiunto l’apice proprio durante lo sviluppo dell’impressionismo. Amico di Degas ha raffinato la sua tecnica mutandosi in un artista sopraffine (e se non erro ha anche partecipato ad almeno due mostre impressioniste); Zandomenighi parla da solo attraverso le sue opere (anche se morì giovanissimo), il ferrarese Boldini, non solo è stato il protagonista della Belle Epoque ma è stato acclamato anche a NY dove ha dipinto i ritratti per la società che contava. La sua pittura è uno slancio di freschezza, un rapido tratto vivo e dinamico in grado di vitalizzare (anche manieristicamente) il volto ingessato della borghesia; non è un caso se il pittore Whristler volle essere da lui ritratto.
Il loro valore storico è inoppugnabile, quello che direziona invece il mercato con le speculazioni, non puó certamente essere preso a modello.
caro Lois, non volevo farti arrabbiare così, ma non è colpa mia se seguendo quelli (che hai ragione sono i meno provinciali tra i provinciali) l’arte non sarebbe giunta dove è oggi. Sono stati tutti e tre, a mio modesto avviso, dei pittori di tecnica sopraffina che hanno cercato, ognuno alla propria maniera, di rivedere e rielaborare quanto altri inventavano. questa era l’idea. grazie del commento
figurati non ero arrabbiato è che mi sembrava un concetto preso un poco troppo per le larghe. Se visti sotto la luce dell’ideazione, sicuramente loro sono stati quelli che hanno seguito in scia le cose che avevano fatto già i francesi.