Giovedì scorso abbiamo partecipato ad una serata che era stata annunciata come la prima italiana dell’ultimo film di Jarmush.
Pagato il biglietto, fatta la nostra bella coda di quindici minuti abbondanti al caldo di un atrio senza aria condizionata, siamo stati ammessi in sala dove abbiamo scoperto che la proiezione del film per cui eravamo venuti sarebbe stata preceduta dalla premiazione del concorso Infinity per “corti” prodotti e realizzati da giovani . Con relativa visione delgli stessi. Trattandosi di “corti” ciò ha significato un bel quarto d’ora ciascuno, alias il film di Jarmush è iniziato alle 22 abbondanti invece che alle 21.
Pare che la cosa in realtà fosse stata scritta da qualche parte nel programma. Fatto si è che gran parte della platea è stata colta di sorpresa e ha preso a rumoreggiare in maniera più che decisa. In alcuni momenti sembrava di essere in quegli avanspettacoli d’altri tempi nei quali il pubblico diceva apertamente la propria su quanto avveniva sul palco.
Prima lezione della serata: siamo arrivati al punto che la nota internet tv organizzatrice del concorso (internet tv peraltro appartenente all’ancora più noto gruppo televisivo nazionale) fa pagare un biglietto per mostrarci quanto è brava e attenta ai giovani. D’altronde non è sempre così per i canali televisivi a pagamento: uno paga un canone e loro ti riempiono di pubblicità (proprie o altrui) film, partite di calcio e spettacoli.
Ciò detto il film di Jarmush è un’intervista / documentario a Iggy Pop, definito una pietra miliare del rock anni sessanta / settanta. Un po’ noioso a tratti, con poca musica, ma ben fatto: ironico, divertente nei cartoni animati che a tratti ricostruiscono i racconti e negli accostamenti / citazioni di film famosi più o meno di quegli anni. Jarmush è bravo anche parrebbe abbia poco da dire.
I corti invece che hanno preceduto Jarmush erano discutibili, tanto da portare alla constatazione che se quei tre erano i migliori figuriamoci gli altri. Uno trattava del viaggio in Ape Piaggio al Polo Nord di due giovani valdostani. Lunghi paesaggi e commenti fuori campo sul senso della vita e del viaggio che Keruac al confronto era un dilettante allo sbaraglio. Il secondo era una battaglia di zombie de’ noatri. Il terzo (il migliore) una presa in giro delle serie tv.
Seconda lezione della serata: parrebbe che il cinema sia diviso tra reminiscenze e ricordi degli anni sessanta e fughe di massa verso irrealtà. I documentari e le analisi degli anni sessanta si sprecano (stasera per esempio c’è in prima visione qui a Milano un film su un episodio della vita di Johnson, mai dimenticato presidente degli Stati Uniti d’America e un documentario sul fotografo Mapplethorne) anche se il loro numero è decisamente inferiore a fantasy, fantascienza e storie di povera gente interpretate come fumetti. Resiste negli States la fiaba romantica. La realtà non esiste più per i nostri cineasti?
Quindi sintesi: il film di Jarmush vale la pena solo se siete stati appassionati del rock di quegli anni e i corti vincitori del concorso grazie a Dio rimarranno sconosciuti e non visti dai più.