Ritrovo miei vecchi appunti del 2011. Si ricollegano evidentemente a quanto in parola con la recente lettura della Sparizione dell’Arte di Baudrillard, commentata qualche giorno fa.

Achille Bonito Oliva commentando una mostra curata dalla signora Bourgeois a Punta della Dogana scriveva che secondo Nietzsche la nostra epoca sarebbe “il tempo dell’irrilevanza, della fine del valore della cosa in sé, il tempo della vita immediata invece che dello spirito assoluto, l’ineluttabile frammentazione dell’immagine, avvento del relativo, distruzione della serietà, del tragico e affermazione dell’effimero, dell’illusorio, del divertente.

Al di là del valore profetico delle parole del filosofo tedesco, che in parte sicuramente hanno avuto il carattere di profezia auto-avverantesi, la fine della cosa in sé rieccheggia i temi della riproducibilità in Arte e quindi ricorda la Pop Art americana e le serigrafie di Wahrol. L’ineluttabile frammentazione dell’immagine sta nei lavori di Rauschenberg e nei successivi e innumerevoli mix di foto e pittura; l’evento dell’effimero, dell’illusorio, del divertente rimanda agli oggettini di Koons e la scomparsa del tragico al teschio o al pescecane di Hirst.

Ora noi si è ancora lì? A cavallo delle staccionate che divisero e unirono al tempo stesso fine ottocento e inizio novecento?

Il vero futuro (lavoro a distanza, comunicazioni velocerrime, popoli che vanno e che vengono, nascita di una nuova coscienza umana planetaria) fomenta ancora le nostre incertezze, la nostra insicurezza psicologica (prima che fisica) e quindi come in tutte le fasi della gestazione noi ci si rifà al citazionismo piuttosto che avere visioni nuove e nuove morali?

Questo mi chiedevo nel 2011. Ora il vero futuro è oggi.

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