Ecco una nuova recensione di Claudio Cherin. Il film è La timidezza delle chiome appena uscito in sala.
Ci sono voluti per realizzare il film La timidezza delle chiome di Valentina Bertani cinque anni di frequentazione con i due fratelli gemelli protagonisti. Cinque anni di frequentazione che sono culminati in un film nato per raccontare i mesi dopo la maturità e il passaggio dall’adolescenza di Benjamin e Joshua Israel, due gemelli ventenni con disabilità intellettiva che lo spettatore conosce in un momento di svolta: quello dell’esame di maturità.
Un passaggio che segna la fine di una vita dai ritmi scanditi dalla scuola e famiglia e apre la porta alla vita vera, quella in cui ogni ragazzo si impegna a cercare la propria strada.
Come i loro coetanei anche Benjamin e Joshua si ritrovano a dover affrontare il mondo. Un mondo che non sembra pronto a valorizzare le loro potenzialità e i loro talenti. Ma Benji e Joshua non si scoraggiano o si fanno condizionare dalle difficoltà: sono determinati a vivere pienamente la loro età e hanno i sogni di tanti altri ragazzi: uno ha la passione per la musica, immagina a occhi aperti di suonare con i Muse e vive con tenerezza e trasporto il suo primo amore. L’altro non fa che pensare alle ragazze e alle meraviglie, ancora non provate, dell’agognata prima esperienza sessuale.
Ma c’è anche il costante senso di sfida e competizione fraterna che vivono anche nelle piccole cose, la passione per la musica e lo sport, il tifo per la Roma, la voglia di avere una relazione seria, la scoperta del sesso. Vivere con una disabilità come la loro, soprattutto a quell’età già di per sé molto delicata e complessa, non è facile: i due lo sanno e lo percepiscono nella loro quotidianità, nelle loro amicizie ed esperienze personali. Questa capacità dona forza ai ragazzi, dando loro la spinta per affrontare i limiti imposti dalla società, senza il bisogno di assecondare gli altri, facendo ciò che li rende felici, non ciò che il mondo si aspetterebbe da loro.
Il documentario è inoltre arricchito dalla presenza della famiglia dei gemelli, Sergio e Monica, che nel film sono un punto di riferimento per i figli, e non si dimostrano mai invadenti. Incoraggiano i figli nelle loro scelte sul futuro e al contempo pongono dei chiari paletti con cui i due possono confrontarsi, decidendo indipendentemente da che parte stare, anzi, essendo invitati a prendere posizione, ma solo se frutto di una concreta consapevolezza, senza l’assillo della fretta o dell’imperativo sociale. Questo approccio risulta ancora più evidente quando Joshua e Benjamin prendono la loro decisione più importante, proprio alla fine del film, che li porterà a dividersi e ad accettare definitivamente la possibilità di crescere senza il costante supporto dell’altro: il servizio militare in Israele. E l’abbandono di uno dei due.
Ma ci sono anche i pensieri sul domani che accompagnano i gemelli, pur incerti e pieni di dubbi, seguono l’impostazione educativa dei loro genitori.
I due ragazzi, infatti, non possono fare a meno l’uno dell’altro e compiono insieme quasi completamente le esperienze, né condividendo ogni aspetto.
Proprio questa è la sfida che in realtà sono chiamati ad affrontare: poter esistere anche separati, senza per forza aver bisogno l’uno dell’altro, trovando il coraggio e la forza di essere diversi, e di intraprendere percorsi distinti e scelte individuali, con una visione più matura.
La timidezza delle chiome, tra finzione e documentario, racconta le emozioni di un percorso di crescita. Ma anche la disabilità e la carenza presente in Italia, una volta arrivata alla maggiore età.
Il titolo del film viene da una frase, detta da una ragazza, sotto l’ombra di alberi altissimi. Ci sono degli alberi che quando crescono non intrecciano tra loro i rami, per non farsi ombra a vicenda: si chiama timidezza delle chiome, dice Michi nel bosco a Benj.
Così, come quegli alberi che crescono vicini e poi decidono di lasciare lo spazio per respirare necessario all’altro, i due gemelli, Benjamin e Joshua, imparano a comportarsi, a vivere e sopravvivere in quell’universo che li fa uguali ma diversi, unitissimi da un rapporto quasi simbiotico. Ma anche alla ricerca ognuno della propria identità, in quel momento della vita in cui tutti sono chiamati a guardare in prospettiva alla vita da adulti: i venti anni sono promesse, difficoltà, i sentimenti sempre in bianco o nero, delusioni.
Benjamin e Joshua sono due ventenni ‘speciali’, come loro stessi si definiscono con i loro amici, hanno una disabilità intellettiva che li rende diversi in un mondo di abili; però di sentirsi ‘diversi’ non hanno voglia e vanno alla ricerca della loro strada per la felicità. Determinati, sfrontati, appassionati, questi due ragazzi trascinano nel loro mondo, senza clamori, ma con la forza della vita che brucia loro dentro.
Il film racconta anche la fragilità. Durante il film emergono con semplicità i punti di forza e le fragilità di Joshua e Benjamin, distribuite attraverso piccoli episodi di vita quotidiana che compongono un puzzle di diverse emozioni, sempre condivise, e una limpida complicità, sia tra loro che con la macchina da presa e quindi con lo spettatore, che si sente così accolto e coinvolto in un mondo che riesce a fare proprio in ogni piccolo particolare, con le sue sfaccettature più grottesche e le sue sincere volgarità, invitando a mostrarsi a sua volta per com’è.
La timidezza delle chiome è un film che propone un linguaggio al limite del documentaristico, accanto al linguaggio del film. Ma con delicatezza si indaga il tema poco esplorato dell’adolescenza vissuta con una disabilità che, se da fuori può apparire un limite, da dentro i cuori e gli animi dei gemelli appare un impulso a superare barriere e cercare con grande convinzione il proprio ruolo nel mondo. Il ritmo, con cui la macchina da presa si alterna alle inquadrature da smartphone, riassume bene il lungo periodo che la troupe ha trascorso insieme ai gemelli, rendendo con precisione un periodo di girato lungo (come è stato detto precedentemente) e la metamorfosi che ha portato con sé.
In questo periodo, i gemelli entrano spesso in conflitto e le due personalità spiccano una di fronte all’altra, evidenziando inevitabili differenze di carattere e di aspirazioni. Le stesse che faranno emergere sempre di più nettamente le loro nuove strade individuali.
La regista, Valantina Bertani, dice di aver insegnato a Benjamin e Joshua a non percepire la macchina da presa, relazionandosi tra loro e con gli altri in modo naturale, senza condizionamenti dovuti alla presenza della troupe. Ed è esattamente questo il tratto che più colpisce di un film che va in profondità proprio perché sfonda ogni sovrastruttura e punta all’essenza dell’animo e delle riflessioni dei due protagonisti, riuscendo a proporre un racconto originale e autentico della loro esperienza.
L’opera prima della regista mantovana porta sullo schermo uno stralcio di vita di questi due ragazzi, ripercorrendo un periodo, in cui è compreso anche il primo lockdown. Momenti, immagini, dialoghi ed episodi ricalcano le situazioni reali, spesso quando si racconta la disabilità non si raccontano le difficoltà o le incomprensioni. Il racconto di Bertani riesce a rendere una narrazione caratterizzata dalla neutralità di giudizio e da un limpido realismo.
La timidezza delle chiome è un film che è presentato nel corso delle Notti Veneziane delle Giornate degli Autori nell’ambito della 79° Mostra internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Nel cast, a interpretare se stessi troviamo i gemelli Benjamin e Joshua Israel, ci sono Sergio Israel, Monica Carletti e Michela Scaramuzza.