Dall’amico Giorgio Secchi, autore del romanzo Non c’è tempo per un tango, ricevo questa recensione dell’ultimo film di Moretti.


Aveva aspettato la fine del Covid senza cedere alle lusinghe di Netflix pur di portare in sala cinematografica “Tre piani” tratto dal romanzo molto bello di Eshkol Nevo. Il film non era stato accolto molto bene dalla critica e poco anche dal pubblico, anche per la disaffezione verso il ritorno nelle sale.

Ecco che a breve distanza, solo due anni, Nanni Moretti è tornato con un nuovo film, “Il sol dell’avvenire” in cui non ha fatto mancare al suo pubblico quello che è solito cercare in una pellicola di Moretti: una sequenza di scene molto gustose e piene di musica in cui mira a prendere in giro tutti, compreso se stesso, con le sue ossessioni, manie, psicosi, le poche certezze e i molti più dubbi, ciò a cui non può rinunciare – la coperta ad uncinetto, il dolce, stavolta è il gelato al posto della Nutella – e ciò che rappresenta il suo fastidio storico per certi tipi di scarpe, qui se la prende con i sabot (“se copri le punte devi nascondere anche il calcagno”, è la sua invettiva contro Barbara Bobulova che li indossa in uno dei film di cui è composto Il sol dell’avvenire). Uno, perchè Moretti ci racconta una storia che è stata definita una sorta di matrioska di film.

Nel principale propone una ricostruzione di quello che sarebbe potuto accadere in Italia in occasione dei fatti di Ungheria del 1956, quando le armate dell’Unione Sovietica invasero con brutalità Budapest per reprimere la rivolta democratica, un atto ritenuto inammissibile in un Paese satellite, dentro la cortina di ferro, la linea di confine che divideva dalla fine della seconda guerra mondiale l’Europa dell’Est sotto il controllo di Mosca.

Moretti ci racconta la crisi nei confronti della linea del partito comunista e i tormenti di Silvio Orlando e Barbora Bobulova, due militanti esemplari ,che stanno ospitando nel loro quartiere il circo equestre Budavari proveniente da Budapest, quando viene stroncata nel sangue la rivolta dell’Ungheria.

Contestualmente ci racconta e incrocia altre storie, altri film: lui, il regista stesso, che si trova inaspettatamente a fare i conti con la moglie, interpretata da Margherita Buy, che è anche la produttrice dei suoi film, entrata in crisi di coppia dopo quarant’anni di convivenza. Moretti ci racconta il dolore di lei che non riesce a essere coerente nel distacco, mentre lui finge con se stesso che tutto funzioni alla perfezione.

Moretti ci infila però un altro film confessando il desiderio di realizzare una storia su cinquant’anni di vita di una coppia, cui suggerisce anche le battute mentre guardano “La dolce vita” di Fellini, da quando si conoscono, si amano, fanno figli e poi litigano in cui, a fare da filo di tessitura è la più bella musica italiana degli anni trascorsi con le canzoni di Noemi, Tenco, De André e Battiato e anche Aretha Franklin che, sono, per Moretti e anche gran parte del suo pubblico, colonne sonore di una vita.

In questo guazzabuglio di storie Moretti ci regala anche la critica ai film di genere sulla violenza fine a se stessa, interrompendo per otto ore il set di un giovane regista, prodotto dalla moglie, chiamando nella notte persino amici illustri a sostegno della sue tesi, da Renzo Piano a Corrado Augias, da Chiara Valerio fino a Martin Scorsese, in una serie godibile di scambi utile a rafforzare la sua tesi avversa a questo genere di film.

Alla fine Moretti torna però alla storia dei due militanti in crisi e decide, alla maniera di Quentin Tarantino nel mitico film “Bastardi senza gloria”, di cambiare il corso della storia dichiarando esplicitamente di volerla fare con i “se” e di immaginare così che Togliatti rompa con Mosca sull’Ungheria, appoggi la rivolta e cambi il corso della storia del Partito Comunista in Italia.

E poi, tra le tante citazioni e i rimandi che Moretti ha messo nel suo film, che finiscono per far ridere, commuovere e talvolta piangere il suo pubblico di affezionati (un po’ come avviene con Woody Allen), non poteva mancare il riferimento a Fellini, nelle scene nel circo e nel finale sui Fori Imperiali. Un corteo che fa tornare in mente un Quarto Stato in marcia per la libertà : non ci sono soltanto Orlando e la Bobulova, in sella agli elefanti del circo, e gli altri personaggi di questo film, ma con gioiosa disponibilità quelli di tutti i suoi film, in una sorta di grande famiglia che restituisce il senso di una continuità di discorso e un sentimento di partecipazione comunitaria al cinema di Moretti: da Giulia Lazzarini a Renato Carpentieri, da Jasmine Trinca ad Anna Bonaiuto, fino al regista stesso che, da “magnifico settantenne”, saluta i suoi spettatori. Meno nevrotico del solito, anzi con una sorta di pacatezza.

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