Per avventura mi sono trovato nel breve spazio temporale di poche settimane prima ad Istanbul e poi (ancora una volta) a Londra.

Dico ancora una volta a Londra, perché a Londra sono stato per la prima volta quando fui veramente giovane (dovevo averne largo circa diciassette di anni) e di lì in avanti, un po’ per piacere, un po’ per lavoro svariate altre volte.

Ad Istanbul invece non ero mai stato, pur sentendone il desiderio da molto.

Sono stati due viaggi simili da un certo punto di vista, che è quello che questo nostro turismo che sempre si muove per pochi giorni o poche ore nelle città visita quasi esclusivamente “luoghi sacri”.

Ad Istanbul Moschee e Topkapi. A Londra, la mia amata Londra, la Tate, sia British che Modern.

Sono pellegrinaggi i nostri, più che viaggi. Nessuno (o pochi) oggi hanno il tempo di viaggiare come si usava fare nei secoli scorsi, quando l’estrema durezza dello spostamento imponeva poi lunghe soste nei luoghi d’arrivo e così facendo permetteva ai viaggiatori di respirare appieno l’aria del luogo visitato, divenirne parte, da un certo punto di vista, seppure per poco e con difficoltà. Oggi si va, si entra, di guarda e si esce.

Istanbul e l’arte geometrica e stupefacente delle Moschee. Lo spazio silenzioso di luoghi fatti per sedersi per terra e pensare, pregare, concentrarsi. Un’arte che abolendo l’iconografia si costrinse ad una splendida ripetitività, ad un connubbio con l’architettura, ad una inevitabile fusione con l’edificio che la conteneva. Ma Istanbul è di più. E’ anche arte bizantina, da mosaici di una perfezione e morbidezza senza uguali.

E Londra è la Tate British che a sua volta è, sopra ogni altro, Turner, viaggiatore imperterrito, disegnatore notevole, ma soprattutto innamorato perso della e nella luce, mentre la Modern, la Modern è Bacon con uno dei suoi più perfetti trittici.

Santuari da visitare velocemente in silenzio per poi tornare a casa, sperabilmente, a riflettere.

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