Visti ieri in breve sequenza i due film.
Belli entrambi. Due film ad contenuto sociale e politico.
Data la fine nota della vicenda, si assiste al primo (L’Ufficiale e la spia) con un rassicurante senso di appartenere alla razza eletta, quella che rimedia ai propri errori, quella che esistono i cavalieri bianchi in sella a destrieri piumati, quella che il razzismo non c’è più e in fin dei conti non c’era neanche allora, quella che basta avere la schiena dritta e resistere per la giustizia e la verità, perché le democrazie occidentali sono il migliore dei mondi possibili, con pesi e contrappesi, giustizia e stampa, dimenticando, così, che, poco più che trentanni dopo, il caso Dreyfus venne moltiplicato per un coefficiente demoniaco e che ancora oggi tutto sarebbe possibile.
Al secondo (Sorry we missed you), invece, si assiste con un senso di angoscia crescente e con una osservazione e una domanda che ti rimane in gola: ma dove siamo finiti?
E quindi come si è passati da là a qua? Quale è il filo che lega la società europea di inizio 1900 a quella del 2019? L’eleganza dei costumi e dei modi del primo film alla sciatteria di linguaggio e di vita del secondo?
Certo il primo film è ambientato sostanzialmente nei circoli alto borghesi, mentre nel secondo siamo al confine con subproletariato urbano, ma anche nel primo ci sono anche figure di contorno, minori (impiegati, portiere, prostitute) e nessuno ha linguaggio o tensioni evidenti come nel secondo. Aggressività verbale e fisica, maleducazione, tensioni, ansia, sono costanti nel secondo e assenti nel primo.
Si stava meglio allora? No, certo. La quantità di beni e servizi che abbiamo oggi non è comparabile con quella di allora, né per qualità (dei beni disponibili), né per quantità (del numero di persone a cui sono offerti). Ciò nonostante si rimane intontiti da tale differenza, che peraltro si manifesta in tutta pienezza anche se ricordiamo un Maigret di Gino Cervi, un film di Jacques Tati o il terrorizzante Belfagor. Fino agli sessanta e settanta imperava l’educazione, il rispetto (anche se magari solo formale). Dagli ottanta in poi un sempre più rapido declino.
La caduta dei costumi è recente, recentissima, quindi, ma comunque anteriore alla diffusione di internet, cui oggi si tende ad attribuire ogni colpa ed ha a che fare con la caduta del muro di Berlino, con la progressiva apertura del commercio internazionale (soprattutto in chiave produttiva) e con il continuo e tempestoso crescere della popolazione mondiale. Se almeno chi è protetto oggi da queste tensioni facesse professione di educazione e rispetto sarebbe un bel passetto in avanti. Se poi chi ha le leve del potere si chiedesse come possono convivere pacificamente sette miliardi di persone generalmente poco o punto istruite, senza che la soluzione sia ognun per sé e Dio per tutti sarebbe di grande conforto per i nostri figli e nipoti. La guerra (economica e fisica) che appare essere la strada scelta non può essere una soluzione, né in termini morali, né in chiave strategica. Un ripensamento geografico del mondo è necessario e non solo per il devastante effetto sul clima, ma anche per disciplinare quell’impazzito teatro di migrazioni costanti (messico verso stati uniti, africa verso europa, asia contro tutti).
Tornando ai film, Polanski confeziona un’opera perfetta che ritrae con fedeltà un’epoca ormai largamente defunta. Che ammazzino l’avvocato e non il principale accusatore fa sorridere chi come noi è ormai assuefatto alle storiaccie dei giorni nostri. Il colonnello Picard oggi sarebbe morto immediatamente dopo le sue riservate denuncie e nessuno avrebbe mai saputo null’altro di Dreyfus. Un mondo che fu.
Loach accentua probabilmente alcuni tratti, cancella l’ironia presente in molti suoi film degli albori e fotografa bene l’ansia generale e le dinamiche delle nostre famiglie, con i ragazzi insicuri e ribelli, ribelli come siamo stati tutti a quella età, ma oggi disincantati e senza speranze o certezze, schiacciati da una mancanza di senso che gli adulti danno come dato di fatto.
Entambi valgono il biglietto.