Ieri sera al Piccolo di Milano sala Melato abbiamo assistito allo spettacolo di Davide Carnevali interpretato da Michele Riondino: molto interessante, coinvolgente, bello.
La trama e l’artifizio scenico è noto a chiunque abbia letto le recensioni sui maggiori giornali nazionali o sia andato a curiosare sul sito del Piccolo Teatro.
Di conseguenza non mi dilungherò sul tema.
Oltre la bravura di Riondino, mostruosa in alcuni tratti, ciò che più interessa è la riflessione, cui il testo conduce, sulla necessità storica e politica che i regimi hanno di combinare, o, meglio, intrecciare, verità e falsità allo scopo di fissare quel che deve essere per tutti la Vera Storia. Ciò che non serve o che peggio è d’ostacolo scompare, non se ne tiene traccia, sparisce in un grigiore indeterminato che non permette a nessuno, né prima, né dopo o durante, di sapere cosa sia il vero e cosa il falso. O vola giù nell’oceano da un aereo.
D’altronde che la verità non sia che una convenzione sociale (teoria) che regge fin quando non emergano elementi che convincono della necessità di una diversa interpretazione del reale è cosa che dovrebbe essere ben nota, ma qui la novità è ricordarci, per il tramite di una serie di cose vere e altre inventate, che la striscia dell’orrore va ben al di là della pazzia di Hitler e delle tragedie mussoliniane, ma lambisce il nostro passato prossimo (Argentina e Cile) e tinge il nostro presente (Russia, Cina, India), ipotecando così il nostro futuro. Non per nulla il testo con le sue ripetizioni evoca il mito dell’eterno ritorno.
Altro elemento interessante è l’uso della telecamera in scena per scandire testi o per offrire un punto di vista diverso agli spettatori. Mi spiego: in alto sopra al palcoscenico è posto un grande schermo sul quale viene proiettata l’immagine colta da una telecamera posta in scena. Per lunghi tratti la telecamera inquadra particolari che altrimenti sarebbero poco visibili dal pubblico. In altri la telecamera riprende il volto del protagonista in una sorta di autoscatto che drammatizza mimica ed espressioni. In altri ancora tutto scompare e rimangono solo le immagini colte dalla telecamera. Avevo colto un uso simile in uno spettacolo al Parenti, ma in quel caso il gioco scenico era durato pochissimo. Qui invece questo espediente, o, meglio, questo strumento viene usato molto di più e meglio, in una sorta di gioco di specchi che ancora una volta rimanda alla aleatorietà della rappresentazione e della verità.
Per una volta mi sbilancio: assolutamente da vedere.

