Questa differenza (ndt: che il linguaggio di Dante fosse una diretta discendenza del tardo latino, lingua paneuropea), che è una delle ragioni per cui Dante è “facile da leggere”, può essere analizzata in aspetti ancora maggiormente specifici. Lo stile di Dante ha una specifica chiarezza – una chiarezza poetica distinta da quella intellettuale. Il pensiero può essere oscuro, ma la parola è chiara se non translucente. In inglese le parole poetiche hanno una sorta di opacità che in parte è la loro bellezza.

Ma la semplicità di Dante ha un’altra specifica ragione. Egli non solo pensò in un modo nel quale ogni uomo di cultura in tutta Europa pensava in quel tempo, ma egli adoperò un metodo che era comune e comunemente compreso in tutta Europa. Non ho intenzione, in questo saggio, di entrare nelle questioni delle varie interpretazioni dell’allegoria dantesca. Ciò che è importante per il mio scopo è il fatto che il metodo allegorico fosse uno specifico metodo proprio non solo dell’Italia; e il fatto, apparentemente paradossale, che il metodo allegorico facilita la semplicità e la comprensibilità. Siamo propensi a pensare alla allegoria come ad una sorta di indovinello a parole crociate. Siamo propensi ad associarla a noiosi poemi (il migliore The Romance of the Rose) e in un grande poema ad ignorarla come irrilevante. Ciò che ignoriamo è, in un caso come quello di Dante, il suo caratteristico effetto a favore della bellezza dello stile.

Io non consiglio, nella prima lettura del primo canto dell’Inferno, di preoccuparsi del Leopardo, del Leone e della Lonza. È meglio davvero, all’inizio, non sapere e preoccuparsi di ciò che essi davvero significano. Ciò che dovremmo considerare non è tanto il significato delle immagini, ma il processo inverso, quello che portò un uomo che aveva una idea ad esprimerla per immagini. Dobbiamo considerare il tipo di mente che per natura e pratica tendeva ad esprimersi in maniera allegorica: e per un vero poeta, allegoria significa immagini visive chiare. E immagini visive chiare hanno una intensità di gran lunga superiore avendo un significato – non abbiamo bisogno di sapere quale significato abbia, ma nella nostra consapevolezza dell’immagine dobbiamo essere consapevoli che aveva anche un significato. L’allegoria è certo solo un metodo poetico, ma è un metodo che ha molti grandi vantaggi.

Dante ha una immaginazione visiva. E la sua è una immaginazione visiva diversa da quella di un pittore contemporaneo di nature morte: è visiva nel senso che egli visse in un’epoca nella quale gli uomini avevano ancora visioni. Era una consuetudine psicologica, il cui trucco abbia dimenticato, ma tanto utile come ogni altra nostra. Noi oggi non abbiamo che sogni, e ci siamo dimenticati che avere visioni – una pratica oggi vista come aberrante e volgare – è stato un tempo uno dei più significativi, interessanti e disciplinati modi di sognare. Noi prendiamo per buono che i nostri sogni fioriscano dal basso: è possibile che la qualità dei nostri sogni ne risenta di conseguenza.

Tutto ciò che chiedo al lettore, a questo punto, e di togliersi dalla mente, per quanto può, ogni pregiudizio contro l’allegoria, e ammettere almeno che non era un mezzo per permettere a chi non aveva l’ispirazione di scrivere versi, ma davvero una Abitudine mentale, che portata a genialità può generare un grande poeta così come un grande mistico o un santo. Ed è l’allegoria che rende possibile leggere Dante anche se non si sa ancora bene l’Italiano. I linguaggi variano, ma i nostri occhi sono sempre gli stessi. E l’allegoria non era un uso solo italiano, ma era un metodo europeo universale.

Il tentativo di Dante e’ quello di farci vedere ciò che egli vide. Di conseguenza egli adopera un linguaggio estremamente semplice, e con molte poche metafore, dato che l’allegoria e la metafora non vanno molto bene insieme. È c’è una peculiarità circa il suo modo di comparare che è degna d’essere notata.

C’è un nota comparazione o similitudine nel grande canto quindicesimo dell’Inferno, che Matthew Arnold definì, giustamente, come un’ alta preghiera; che è caratteristica di come Dante utilizza questa figura retorica. Parlando della folla all’Inferno che scrutava lui e la sua guida sotto una debole luce:

e si ver noi aguzzevan le ciglia,
come vecchio sartor fa nella cruna.

Lo scopo di questo tipo di similitudine è puramente quello di permettersi di vedere nella maniera più precisa possibile la scena che Dante ci aveva presentato nei versi precedenti.

…. she looks like sleep,
as she would catch another Antony
in her strong toil of grace

(….lei finge dormire
come se volesse catturare un altro Antonio
nelle sue irresistibili trappole di grazia….
)

L’immagine di Shakespeare è molto più complicata di quella di Dante e molto più complicata di quanto appaia. Essa ha la forma grammaticale di una sorta di similitudine (la forma del ‘come se’), ma naturalmente ‘catturare nella sua trappola’ è una metafora. Ma mentre la similitudine di Dante ha puramente lo scopo di farci vedere più chiaramente in che modo la gente guardava, ed è esplicativa, la figura di Shakespeare e’ più espansiva che intensiva; il suo scopo è di aggiungere a ciò che si vede (sia in palcoscenico che nella immaginazione) un ricordo del fascino di Cleopatra che ha modellato la sua storia e quella del mondo, e che quel fascino era così forte da prevalere anche nella morte.  È più elusivo, ed è meno possibile coglierlo senza una forte conoscenza della lingua inglese. Tra uomini che potevano avere tali invenzioni non c’è questione di più o meno grande. Ma dato che l’intero poema di Dante è, se vogliamo, un’unica vasta metafora, difficilmente c’è posto per una metafora nei singoli dettagli.