Un lungo componimento dettato, ovviamente, da ciò che stiamo vivendo.

Brucia e diluvia insieme
sulle città e sulle strade fredde
d’una stagione che ancora ritarda.

Brucia e diluvia insieme
sui treni e nei porti disertati
da gente seppellita in cantine.

Brucia e diluvia insieme
dall’alto e da sopra e da sotto
da dove l’uomo ora si crede
d’essere dio vero da un dio vero
forgiato, redento, smagliante
dall’invincibile io dai credenti
protetto, cullato, presente
da sopra le nubi grigie d’inverno
sulle città e sulle strade
da dove le formiche senza tetto
né legge sono punti impazziti
sul vetro d’una storia infinita
e di là, da lassù, dall’alto
l’uomo caga la propria ignoranza
l’uomo caga la propria ambizione
caga ciò che non ha mai digerito
cultura, sapere, diritto
senza capire, vedere, sapere
credendosi un dio dalle alture
tornato, grande, potente, smagliante
sperso ora solo in un se stesso
ridente che folle sgancia missili
e bombe su chiunque sia là
anche solo per volere del caso
quasi che tutti noi fossimo
punti impazziti d’una brutta storia
che non vorremmo fosse esistita
e di cui alla lunga dubiteremo
per pura nostra salute mentale
se non fosse che il nostro pianto
ci ricorda e adesso non smette.

Ciò che ci fa davvero incazzare
oltre ogni possibile dire
e ci sconvolge e deprime
ci toglie respiro, fede, fiducia,
è (mi perdonino i morti)
l’arroganza d’un sapere negato
secoli buttati nel cesso
da chi crede di poter scatenare
l’inferno e fermarlo con uno schiocco
di dita quasi fosse un’auto
o un treno dotati di freno
che nel fermarsi, si sa, fanno solo
scintille presto spente dal vento.

Non è così. Anche questo sappiamo.

E ancora di più fa incazzare
la coscienza che i problemi son altri
e se brucia e diluvia insieme
è la natura che chiama, avverte
e non servirebbe darle una mano
in un non richiesto cupio dissolvi
ma serve sedersi a ragionare
come uscirne insieme vincenti
belli e brutti, noi e loro, tutti
ché l’unica salute è la scienza
e non il dolore e la violenza
del lupo che il lupo divora.

Che se il sospetto poi fosse
che ciò che si pensa sia meglio
per sé e i propri famigli
sia fare ritorno a malthus
e fame e carestia e guerra
chiamare in soccorso nello
sciogliere il nodo che lega
la demografia all’ambiente
(siamo troppi o sono troppi?)
allora sarebbe tremendo
l’errore, il male, l’abisso
l’abiezione costitutiva
che torna con vecchie cazzate
razza, nazioni et similia
roba da rigattieri di idee
disconoscenti ciò che di più
ci fa nostri, le relazioni
la storia, l’intreccio, lo stesso
sentire, secoli, battaglie
per riconoscerci fratelli
incroci di lingue diffusi
e sparsi dall’alba al tramonto
da sempre e per sempre
nel fiume del mondo.

La guerra ed i suoi morti infiniti
e chi la persegue, bastardo,
quasi fosse medicina del mondo
non solo è l’abisso nero
che dal male e al male torna di nuovo
(incubi di notte rimpiango)
ma anche l’urgenza che tiene lontana
l’unica salute di tutti:
scoprire insieme le giuste dosi
che faccian parlare il nostro
diffuso benessere con ciò di cui
la terra e il cielo hanno bisogno.

Riconoscere che diluvia
e brucia insieme è ciò cui
la scienza dovrebbe risposte
perché questo è il problema
non l’armarsi di più e meglio
perché questo è il problema
mentre bombe e pazzi sono
accidenti e starnuti del tempo.

Smettano, ti prego, Signore,
i russi di credere in chi
Andersen e Grimm loro propone
e tornino, ti prego, a Fjodor
che da tempo per presa diretta
c’ammonì sulla bestia che è in noi.

O se preferiscono Michail
va bene lo stesso, ma sveglia
però che il clima non aspetta
e mentre noi pazzi veniamo
alle mani dall’alto il padrone
è prossimo alla resa dei conti.

Timeo homines et clima mutantur.

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