Rubo dal mio amico Stefano Piantini.
Giorgio de Chirico “Canto d”amore” 1914, MoMa, New York (73×59,1). Forse uno dei più bei dipinti dell’Arte Moderna.
La palla verde rimanda a un gioco infantile e sottende Eraclito, per il quale il Mondo e il Tempo sono il gioco di un bambino, che non esita a distruggerlo (mito ignomignosamente copiato da Agostino).
Il chiodo, che non sostiene nulla (getta solo un’ombra) sotto il calco dell’Apollo del Belvedere, è de Chirico.
Il guanto, della levatrice, è il destino. Apollo è la bellezza e la forma, ma è anche il dio degli indovini.
Scrive de Chirico “Il guantone di zinco colorito, dalle terribili unghie dorate, altalenato sulla porta della bottega dai soffi tristissimi dei pomeriggi cittadini, m’indica coll’indice rivolto ai lastroni del marciapiede i segni ermetici d’una nuova malinconia”. Un Genio.
