Visita settimana scorsa alla bella antologica su Carrà.
La sua carriera è nota. Dopo gli inizi alla Segantini, l’incontro col futurismo milanese lo travolge, fino a spingerlo all’estremo. Oltre, avvertì, non poteva andare. Come futurista la sua importanza fu capitale come entusiasta adepto e propugnatore. Da un punto di vista realizzativo Boccioni é stato una altra storia (migliore).
Poi Ferrara e De Chirico col quale firmò la nascita e il fiorire della metafisica. Qui i risultati sono pari se non superiori al sommo Giorgio. I colori più brillanti. Le superfici più terse.
Finita anche questa verve, prima di approdare ad un naturalismo di vago sapore nostalgico, studiato Giotto e la pittura italiana degli albori, pratico’ un primitivismo e un classicismo con quale raggiunse forse le sue cose migliori. Le figure sono solidamente piantate, i colori armonici, le atmosfere ancora piene di quelle attese che tanto intrigavano e intrigano nella produzione metafisica. Belli. Potenti. Grandiosi.
Infine e per lunga tratta un naturalismo, si diceva, nostalgico, di cui non si sentiva il bisogno.
Resta la constatazione che essere pittore è cosa diversa dall’essere disegnatore o illustratore. Carrà disegnava poco e male per quel che le varie mostre hanno illustrato eppure è stato ed è un grande della nostra pittura.
Da un punto di vista di costruzione i suoi quadri son sempre ben ancorati al terreno. Stanno, come si dice. Sono spesso illuminati dal centro, in parziale (a volte totale) contraddizione rispetto ad una teorica fonte di luce.
In ogni caso una mostra che vale gli euro che chiede. Raccomando.

